Copertina libro Siblings di Andrea Dondi
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Consiglio letterario: “Siblings. Crescere fratelli e sorelle di bambini con disabilità”, scritto dallo psicologo e psicoterapeuta Andrea Dondi

Quello dei siblings, fratelli e sorelle di una persona con disabilità, è un tema che sta molto a cuore ad Anffas Torino, che infatti sta formando il primo “gruppo siblings” dedicato ai bambini dai 6 ai 12 anni (clicca qui per saperne di più).

A questo proposito, segnaliamo il libro “Siblings. Crescere fratelli e sorelle di bambini con disabilità”, scritto dallo psicologo e psicoterapeuta Andrea Dondi.

Una breve recensione. Nell’esperienza quotidiana di una famiglia con un figlio con disabilità, tra impegni di cura e accompagnamento, a volte è difficile dare spazio agli altri figli. I siblings vivono un’esperienza di crescita che può essere a tratti faticosa, in una chiamata implicita a essere responsabili, indipendenti, sempre comprensivi.

Questo libro si propone di dare loro voce. Aiutando i genitori a cogliere, nelle diverse fasi di crescita, l’enorme ricchezza del loro sguardo sulla disabilità (e il modo in cui questa li sta forgiando). Ma anche a combattere alcuni pericoli, come l’eccessiva solitudine o la paura del futuro. Attraverso la pluriennale attività di Fondazione Paideia e le più importanti esperienze internazionali sui fratelli sani di persone con disabilità, questo è il primo volume in Italia a offrire ai genitori un percorso sui temi educativi e affettivi centrali nella vita di tutti i figli.

INTERVISTA – Per saperne di più, riportiamo l’intervista pubblicata sul sito www.vita.it (qui il link)

«Questo non è un libro che parla di disabilità, ma parte dall’esperienza della disabilità fatta dalla famiglia utilizzando il punto di vista dei fratelli, il loro sguardo sulla disabilità, la loro modalità di viverla». Così inizia, con le parole del presidente di Fondazione Paideia, Fabrizio Serra, “Siblings. Crescere fratelli e sorelle di bambini con disabilità” (Edizioni San Paolo 2018, pp. 207, euro 18,00).

Un libro che prende le mosse da una domanda: «Perché occuparci dei siblings, cioè dei fratelli di bambini con disabilità, se sono i loro fratelli e le loro sorelle ad avere bisogno di aiuto?». Domanda che abbiamo posto direttamente ad Andrea Dondi, l’autore del volume. Psicologo, psicoterapeuta, analista transazionale, didatta e supervisore che vive e lavora a Milano, dove da oltre 20 anni affianca all’attività clinica momenti di lavoro dedicati alla disabilità in particolare con Fondazione Paideia, in un’ottica centrata sulla famiglia, conducendo seminari di formazione, conduzione di gruppi per genitori e promuovendo e organizzando gruppi per siblings.

Si può dire che questo è il primo libro dedicato al tema dei siblings?

“Non so se si possa dire che è il primo libro sui siblings ma certamente è il primo volume in Italia che offre ai genitori di bambini con disabilità un percorso sui temi educativi e affettivi centrali nella vita di tutti i figli”.

La prima cosa che viene in mente è perché, a fronte di una famiglia che ha un figlio disabile, scrivere un libro dedicato all’altro figlio?

“Perché nell’esperienza quotidiana di una famiglia con un figlio con disabilità, tra impegni di cura e accompagnamento, a volte è difficile dare spazio agli altri figli. I siblings, fratelli e sorelle di una persona con disabilità, vivono un’esperienza di crescita che può essere a tratti faticosa, in una chiamata implicita a essere responsabili, indipendenti, sempre comprensivi”.

Quindi lo scopo del libro è dar loro voce?

“Sì, si propone di dare loro visibilità, aiutando i genitori a cogliere, nelle diverse fasi di crescita, l’enorme ricchezza del loro sguardo sulla disabilità – e il modo in cui questa li sta forgiando – ma anche a combattere alcuni pericoli, come l’eccessiva solitudine o la paura del futuro. È da chiarire anche che l’idea di scrivere questo libro nasce da una richiesta proprio dei genitori, raccolta da Fondazione Paideia”.

Come mai questa carenza di letteratura riguardo ai siblings, fratelli e sorelle di una persona con disabilità?

“In effetti la relazione fraterna tout court non è stata molto studiata in ambito sociologico o psicologico rispetto ad altre tipologie di relazione, come ad esempio la diade mamma-bambino o la relazione di coppia o genitoriale. Questa “distrazione” è francamente abbastanza incomprensibile, perché oggi sappiamo che la relazione fraterna costituisce un’esperienza molto utile alla crescita dei bambini e al loro sviluppo sociale, proprio come per i figli unici è molto utile frequentare altri bambini nei contesti formali (asilo, scuola) oppure per conoscenze amicali.

All’inizio le poche ricerche sul tema si sono concentrate sugli aspetti di criticità della relazione fraterna, quasi a indicare che avere un fratello o una sorella costituisce uno svantaggio. Questo fatto ha sicuramente una radice storica, per cui un tempo, nell’era della società rurale, quando era comune essere in sette, otto, dieci, fratelli, farsi largo e trovare il proprio spazio era una necessità legata alla “sopravvivenza” affettiva. Alcune modalità tipiche della relazione fraterna, come la rivalità, la gelosia, l’invidia, il conflitto, sono sicuramente degli elementi comuni, anche se non gli unici, presenti nel quotidiano delle famiglie con più figli”.

Nel caso in cui uno dei fratelli sia disabile le cose si complicano…

“Certo perché essere fratello o sorella è un’esperienza che ci accompagna per molto tempo nella nostra vita, per il fatto che è la relazione potenzialmente più lunga di tutte. Con i fratelli e le sorelle si condividono moltissime cose, alcune delle quali sono veramente importanti; ad esempio, si ha in comune il “patrimonio genetico”, cioè gran parte della nostra struttura biologica di base è praticamente identica.

È per questo motivo che i fratelli e sorelle si somigliano tanto. Poi essi condividono il contesto familiare in cui crescono: anche questo è un aspetto molto significativo e intenso, per il fatto che si vive a stretto contatto per tutto il giorno e spesso anche la notte, ma soprattutto perché tutto ciò avviene nel periodo della nostra vita in cui cresciamo e decidiamo che persone diventare. Ed è qui che, nel caso dei siblings, incontriamo la differenza sostanziale rispetto a situazioni tradizionali”.

In che senso?

“Quella di sibling è una condizione particolare e come tale va avvicinata. Una prima fondamentale distinzione va fatta all’interno della famiglia che si confronta con la disabilità, e riguarda la differenza tra il vissuto dei siblings e quello dei loro genitori. Sappiamo che per i genitori non è affatto facile fare i conti con la disabilità dei figli e sappiamo quanta energia e fatica sia loro richiesta dalla “semplice” vita quotidiana. Il vissuto dei genitori di una persona con disabilità fa parte di un’esperienza che potremmo definire “adulta”: la nascita di quel vissuto, nella maggior parte dei casi, coincide con la nascita del figlio con disabilità.

Molti genitori infatti raccontano di non aver avuto a che fare con “il mondo della disabilità” prima di quel momento. I siblings, diversamente dai genitori, condividono la stessa generazione dei fratelli con disabilità, lo stesso periodo di crescita e di formazione. Ed è una differenza sostanziale rispetto ai genitori. I siblings costruiscono il loro “essere persone”, in termini di carattere e personalità, confrontandosi continuamente e quotidianamente con il tema della disabilità. E con il fatto di avere un fratello o sorella con disabilità e, con ogni probabilità, un contesto familiare sottoposto a stress continuo. Per questo è fondamentale che si prenda in considerazione il vissuto dei siblings. A partire dalla fase di sviluppo che stanno attraversando. E dalla constatazione che l’influenza della disabilità sulla vita di un sibling è diversa”.

Quali sono le principali criticità dell’essere siblings?

“Innanzitutto è giusto definire la condizione dei siblings non come un problema ma come una condizione. Hanno a che fare con un’esperienza famigliare particolare che comporta sfide aggiuntive rispetto ai propri coetanei. Sfide che si presentano per un arco temporale che dura spesso tutta la vita. Questo è il motivo per cui il testo è suddiviso per fasce di età e fasi evolutive: a seconda del periodo di vita i problemi e le sfide cambiano”.

Che tipo di sfide concretamente?

“Ci sono tantissime possibilità. Si potrebbe parlare del del senso di colpa, che nasce nel provare emozioni negative nei confronti del fratello o sorella con disabilità; un po’ come quando qualcuno si sente a disagio per avere fatto o pensato di fare qualcosa che immagina sbagliato o che potrebbe arrecare un danno. O la gelosia: l’esperienza di accudimento dei genitori è, nella quasi totalità dei casi, “sbilanciata” a favore del figlio con disabilità, per tutti i bisogni speciali che richiede. Finire sullo sfondo, per un sibling, è un rischio presente: spesso ci viene da definire i siblings come “invisibili”.

È quindi importante per loro indovinare la strategia per ottenere la dose di attenzioni che permette di crescere come persone. Provare gelosia per il fatto che mamma resta in ospedale giorno e notte con il fratello con disabilità può essere un sentimento molto intenso, anche perché la disparità di attenzioni non si esaurisce con il ricovero. Ci sono casi in cui addirittura dalla gelosia si passa all’invidia. È del tutto possibile che un bimbo invidi la disabilità del fratello perché dà diritto a più attenzioni. Un fatto che spesso sconcerta i genitori”.

Questi sono tutti casi che riguardano l’eta infantile. E quando si cresce come cambiano le sfide?

“Si va dalle situazione di imbarazzo e vergogna fino al dover fare i conti con i coetanei. E poi c’è l’impatto sulla vita sociale e sulla vita adulta. Scelte importanti come dove andare a lavorare, che studi fare o che partner scegliere, vengono condizionate dal fatto che tutto vada incastrato col fatto di avere un fratello con disabilità”.

Uno dei temi più importanti immagino sia il “dopo di noi” famigliare. Cioè chi si occuperà del fratello con disabilità quando i genitori non lo potranno più fare…

“Nel libro lo definiamo caregiver. Un ruolo molto difficile e complesso, e ci si può arrivare in modi diversi. Per i genitori di una persona con disabilità è coevo alla nascita del figlio con disabilità, perché da quel momento non smettono di “prendersi cura” di lui, un impegno che li assorbirà per gran parte della vita. I siblings vivono esperienze molto differenti di caregiving, a seconda di alcune variabili che influenzano lo scorrere del tempo della loro relazione fraterna. Quello che può capitare è che i genitori, per comprensibile ansia, diano per scontato questo passaggio di consegne creando grande ansia e un fardello di responsabilità esagerato”.

Che fare in questi casi?

“Nel libro spieghiamo che l’idea non è tanto di evitare di fare riferimento ad un futuro di accudimento. Anche perché spesso i fratelli non si sottraggono. Ma è importante non dare per scontato che assumano un ruolo genitoriale nei confronti dei fratelli con disabilità. Non essendo loro figli possono avere esigenze di vita che rendono difficile questo passaggio. Il consiglio è negoziare con loro quale sarà l’impegno che intendono investire in questo ruolo che avranno nel futuro”.

Ma perché scrivere un libro dedicato ai genitori e non, ad esempio, agli operatori?

“Mi occupo con continuità del tema siblings da più di un decennio. Da altrettanto tempo collaboro con la Fondazione Paideia di Torino per costruire informazione e sostegno per i siblings di tutte le età. Insieme abbiamo organizzato due convegni internazionali sul tema. E istituito un coordinamento di operatori che opera da quattro anni su tutta la Regione Piemonte promuovendo e progettando attività per i siblings.

Uno dei motivi per cui scrivere un libro come questo risiede proprio nella necessità forte di parlare dei siblings, fratelli e sorelle di una persona con disabilità, in modo esaustivo e per quanto possibile completo. Bisogna farlo nel modo più semplice possibile, rivolgendosi in prima battuta proprio a quelli che sono gli interlocutori più significativi e privilegiati: i genitori. Ma mi piace pensare che si tratti di un punto di partenza. Uno stimolo a parlare, discutere, scrivere di siblings e a costruire momenti e progetti dedicati al loro benessere. Perché di questo esiste il bisogno, ancora troppo silente. Poi magari fra qualche tempo si potrà pensare anche a dei testi più scientifici nei termini e dedicati agli operatori”.

Presentazione Disability Film Festival
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Disability Film Festival – “Modi di essere”, dal 17 al 19 settembre ai Laboratori di Barriera a Torino

Tre giorni di film, libri, musica e incontri: è questa l’essenza della 1° edizione del Disability Film Festival – “Modi di essere”, rassegna cinematografica in programma dal 17 al 19 settembre 2021 in Via Baltea 3 – Laboratori di Barriera a Torino. L’evento è organizzato da Associazione Volonwrite ODV, impegnata dal 2009 nella comunicazione sociale con l’obiettivo di proporre un linguaggio moderno e inclusivo offrendo pari opportunità in ambiente non protetto a giovani con e senza disabilità. L’obiettivo del DFF è quello di affrontare la tematica della disabilità a 360 gradi, superando gli stereotipi e i pregiudizi che storicamente la attanagliano e contaminano la sua rappresentazione attraverso storie e persone in grado di ribaltare le prospettive di pietismo ed eroismo verso un approccio più quotidiano.

Tra gli ospiti Lica Trapanese e Martina Caironi

A raccontare questa “visione” saranno principalmente le parole e i linguaggi espressivi. Non a caso, gli ospiti più attesi sono sicuramente l’attivista e scrittore Luca Trapanese, primo uomo single ad aver adottato una bambina con sindrome di Down in Italia. E Martina Caironi, due volte campionessa paralimpica, pluri-campionessa mondiale ed europea nei 100 metri e recentemente medaglia d’argento nello storico podio azzurro a Tokyo 2020.

Il primo parteciperà alla cerimonia di inaugurazione (in programma venerdì 17 alle ore 17) e presenterà il proprio libro “Nata per te – Storia di Alba raccontata tra noi” (sabato 18 alle 15), mentre la seconda risponderà alle domande del Coordinatore del DFF Marco Berton (sabato 18 alle 16.30) in una speciale intervista e a quelle della Direttrice artistica Carmen Riccato e del pubblico – insieme al regista Marco Zuin – dopo la proiezione del film “Niente sta scritto” (sabato alle 20.45) di cui è protagonista insieme al compianto giornalista Piergiorgio Cattani.

I film in programma venerdì

Per quanto riguarda i film, la selezione si è concentrata principalmente su cortometraggi e mediometraggi documentari di produzione indipendente. Alcuni dei quali pluri-premiati durante prestigiosi festival nazionali e internazionali. La programmazione partirà venerdì 17 con “Tutti pazzi per Paolo” del regista torinese Donato Canosa (ore 18), storia del rapporto e della comune passione per il cinema tra uno studente autistico 12enne ed il proprio insegnante di sostegno. E con “Crisalidi” di Mirko Locatelli (ore 21), realizzato attraverso una serie di interviste a ragazze e ragazzi sul proprio modo di vivere la disabilità.

Le proiezioni di sabato e domenica

Sabato 18 la sezione cinema proseguirà assumendo un respiro internazionale: in apertura di serata (ore 20.30), infatti, è prevista la proiezione di due cortometraggi particolarmente attesi come “A woman like me” di Isabel Morales Bondy (prima nazionale), storia del viaggio in Nepal di una donna danese sordocieca e dell’incontro con un’altra donna che vive la stessa condizione. E “If you knew” di Stroma Cairns, descrizione del rapporto tra due fratelli sordi. A seguire il già citato “Niente sta scritto”.

Durante la giornata di domenica 19, infine, spazio all’approfondimento delle tematiche della sessualità e dell’affettività con “Indimenticabile” di Gianluca Santoni (ore 17.15), storia della prima esperienza di intimità di una giovane donna con disabilità. E “Non è amore questo” di Teresa Sala (ore 18), vero e proprio viaggio nella sfera privata della protagonista Barbara Apuzzo. Dopo ogni proiezione è previsto un incontro con i registi.

Incontro con Matteo Spicuglia

Un altro appuntamento molto importante del festival sarà quello con il giornalista e scrittore Matteo Spicuglia, autore di “Noi due siamo uno – Storia di Andrea Soldi, morto per un TSO”. Il libro, basato su uno dei fatti di cronaca più discussi degli ultimi anni, verrà presentato domenica 18 alle 15. Non mancheranno nemmeno i momenti di confronto con importanti personalità del mondo della cultura, come l’artista Marta Telatin e la scrittrice Alessandra Cinque (protagoniste della cerimonia d’apertura). E della comunicazione, come la critica esperta di cinema non convenzionale, diritti umani, politiche culturali e del lavoro Chiara Zanini (Rolling Stone, Sentieri Selvaggi e Elle Decor).

Dulcis in fundo, non poteva mancare il mondo della musica, grande protagonista di tutte le serate con artisti indipendenti della scena torinese. Come l’eclettica cantante e musicista italo-colombiana Estel Luz, il cantautore indie Ama il Lupo e il trombettista e compositore Ramon Moro. Ma non finisce qui, perché ad allietare le giornate nei momenti di pausa ci sarà anche il dj set curato da Luciano (storico dj del Fluido) e Gianluca “Cato” Senatore (chitarrista dei The Bluebeaters). Il DFF verrà anche “raccontato” dal vivo attraverso i disegni dello scrittore e vignettista Claudio Marinaccio (La Stampa, Il Foglio, Rolling Stone, Tuttosport, L’Huffington Post).

Contributi e partnership

Il Disability Film Festival è organizzato con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con la Regione Piemonte e VolTo – Centro Servizi per il Volontariato. Ha ricevuto il patrocinio della Regione Piemonte, della Città di Torino, della Circoscrizione 6 e del Comitato Italiano Paralimpico – Comitato Regionale del Piemonte. Un ringraziamento particolare va ai nostri partner: AIAS – Associazione Italiana Assistenza Spastici Torino, Associazione Museo Nazionale del Cinema, APIC – Associazione Portatori Impianto Cocleare, Atelier Héritage, Associazione ConTatto, Associazione + Cultura Accessibile, ENS – Ente Nazionale dei Sordi Torino, Associazione Culturale Forme in Bilico, Libreria La Città del Sole, Opera Viva – Artista di Quartiere, Associazione Pepitosa in Carrozza, Seeyousound – International Music Film Festival, Cooperativa Sumisura, UICI – Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Torino, UILDM – Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare Torino e Associazione Verba. Media partner del festival sono Disabili.com, Sicurezza e Lavoro e Torino Oggi.

Le parole dei protagonisti

Il coordinatore Marco Berton

«Torino – spiega il Coordinatore del Disability Film Festival Marco Bertonè da sempre la città dei film festival tematici. Basti pensare a rassegne del calibro di Seeyousound, Cinemambiente, Lovers e molte altre. In mezzo a tutta questa attenzione verso il mondo che ci circonda si sentiva la mancanza, però, di un focus specifico sulla disabilità. Viste le premesse, e forti della positiva esperienza vissuta con l’organizzazione del convegno per il nostro decennale, abbiamo pensato di colmare questa lacuna attraverso il DFF.

Siamo davvero orgogliosi di essere riusciti a portare a termine questa scommessa nonostante le mille difficoltà legate alla pandemia. Il nostro obiettivo è quello di far uscire la tematica dai suoi luoghi tradizionali e istituzionali. E portarla a confrontarsi con il mondo esterno, con la città e con i linguaggi espressivi, veri e propri ambasciatori di una rivoluzione culturale possibile. La scelta di realizzarlo in Via Baltea 3, nel quartiere Barriera di Milano, va intesa proprio in questa prospettiva».

La Direttrice Artistica del DFF Carmen Riccato

«Con il titolo “Modi di essere” – sottolinea la Direttrice Artistica del DFF Carmen Riccatoabbiamo l’intenzione di rappresentare la nostra prospettiva rispetto alla tematica trattata. E’ un punto di vista interno che sbaraglia l’impasse linguistica di cui è intriso il politically correct che vuole farsi inclusivo a cui siamo abituati nella narrazione quotidiana. Siamo infatti circondati da professionisti della comunicazione e dello spettacolo che presentano le persone con disabilità come sofferenti  o come se la diversità fosse qualcosa di altro, esterno alla persona stessa.

Il nostro approccio ha un carattere fortemente identitario. Nella convinzione che la disabilità influenzi – nel bene e nel male – il modo in cui stiamo al mondo e in cui ci relazioniamo con gli altri. Sullo schermo, tra le pagine o le note, le persone saranno al centro della quotidianità e del proprio universo interiore. I lavori presentati corrono lungo il margine di storie autentiche, non sempre consolatorie ma certamente vere».

Il Presidente di Associazione Volonwrite

«C’è fervore – commenta il Presidente di Associazione Volonwrite Mauro Costanzotra noi per questo primo “ciak” ormai così vicino. Il Disability Film Festival è un progetto in cui crediamo molto e che ci offrirà l’opportunità di riflettere a 360 gradi sulla disabilità attraverso film, libri, sport  con una cifra che ci è consueta. Siamo orgogliosi di poter contare su un programma ricco e variegato con ospiti di rilievo. Tra tutti mi permetto di citare Martina Caironi, sarà bello averla tra noi!

Cercheremo di cavalcare l’onda lunga delle Paralimpiadi in termini di entusiasmo, di ottica volta al positivo. E anche, aspetto che ci riguarda da vicino, in termini di narrazione. Se il DFF va finalmente in scena è soprattutto grazie al prezioso supporto tecnico, logistico e organizzativo di Marco, Carmen e degli straordinari ragazzi di Volonwrite. Considero il DFF un fiore all’occhiello per l’associazione e auspico che questa sia la prima di tante belle e coinvolgenti edizioni».

Gli interventi di Schellino e Giusta

«Il Disability Film Festival – dichiara la Vice-Sindaca della Città di Torino Sonia Schellino – è una rassegna di grande valore. Aperta a nuove prospettive sulla disabilità osservata attraverso la lente dell’esperienza della vita delle persone per scoprire la loro essenza. Storie di vita quotidiana e, insieme, uno spaccato della nostra società in cui le differenze arricchiscono travalicando limitazioni e deficit».

«Questo festival – aggiunge l’Assessore ai Diritti Marco Alessandro Giustaci permette di gettare lo sguardo nella vertigine della disabilità. Ci accompagna mano nella mano tramite le storie, le immagini, le voci delle persone che quotidianamente la vivono. Il tema delle differenze tanto ci spaventa perché viene ancora vissuto e narrato in un’ottica essenzialmente negativa. Può invece permetterci di comprendere come la fatica della quotidianità di molte persone. Può essere ridotta o riassorbita avendo presente i loro bisogni e le loro necessità. Restituendo alle protagoniste e ai protagonisti la propria voce raccontandosi per se stesse e per se stessi. In una città dove l’innovazione sociale è eccellenza storica, il Disability Film Festival ha il pregio di illuminare la strada verso una vera e concreta uguaglianza».

Le parole di Gerardo Gatto

«Torino – afferma il Presidente di VolTo – Centro Servizi per il Volontariato Gerardo Gatto si conferma ancora una volta all’avanguardia nello sguardo che va oltre la disabilità. Organizzando una rassegna con l’obiettivo di stimolare prospettive differenti, raccontare storie di vita e identità, di lavoro e relazioni, di percorsi e modi di essere. Ringrazio di cuore l’Associazione Volonwrite per essersi spesa in questa e tante altre occasioni per dare voce al racconto della tematica. Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato come volontari alla realizzazione di un evento così importante in un momento così complesso. E sono grato anche a chi vi ha contribuito economicamente, sostenendo un momento di condivisione capace di coniugare cultura e sociale.

Questi sono momenti che mi stanno a cuore. Vedo realizzato ciò per cui tanti si spendono ogni giorno, per offrire al prossimo un nuovo punto di vista e proposte culturali di qualità. In conclusione, ci tengo a sottolineare come da sempre VolTo sposi questa visione. Una visione che guarda oltre alle barriere culturali, prima ancora di quelle architettoniche. Mettendosi in prima linea al fianco di chi propone un mondo in cui le differenze sono una risorsa e non un ostacolo».

Modalità di partecipazione per il pubblico

L’ingresso al Disability Film Festival sarà gratuito su prenotazione. I biglietti sono disponibili sulla piattaforma Eventbrite. In base alla normativa anti-Covid19 vigente, l’accesso al salone sarà consentito solamente con Green Pass e dopo misurazione della temperatura corporea. Tutti gli eventi e le proiezioni sono resi accessibili attraverso interpretariato LIS, sottotitolazione e audiodescrizione.

Per ulteriori informazioni
Marco Berton – Coordinatore del Disability Film Festival
E-mail: dff.volonwrite@gmail.com
Telefono: 3402679727
https://www.volonwrite.org/dff-2021-il-programma/

Palazzo Carignano Torino
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Performance teatrali dei ragazzi (anche con disabilità) di Teatro8 a Palazzo Carignano

Domenica 26 settembre, presso Palazzo Carignano, i ragazzi del Teatro8 si esibiranno in alcune performance teatrali durante il giro di visita classico all’interno del palazzo. Della compagnia fanno parte anche ragazzi con disabilità delle famiglie che si riconoscono in Anffas Torino.

I ragazzi sono suddivisi in tre gruppi di visita che partiranno a distanza di un’ora uno dall’altro (14.30, 15.30 e 16.30). La partenza del giro inizia nel cortile interno di Palazzo Carignano, l’ingresso è sull’omonima piazza.

Attori a Teatro
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In partenza il “percorso di drammatizzazione” per giovani con autismo, insieme all’associazione Maigret & Magritte

Anffas Torino non si ferma mai. Il nuovo progetto in cantiere è un “percorso di drammatizzazione”. Un progetto dedicato a giovani ed adulti con autismo, da creare e portare avanti insieme all’associazione Maigret & Magritte. Sul suo sito, questa associazione si definisce “un luogo in cui è possibile pensare, realizzare, produrre e mettere insieme l’immaginazione di tutti. (…) In particolare, siamo attenti ai progetti che riguardano il tessuto sociale e le problematiche di disagio contemporaneo. Produciamo spettacoli teatrali che affondano le loro origini in esperienze di vita ad alto impatto. Traduciamo in linguaggio teatrale con la convinzione che possano raggiungere un pubblico più vasto”.

Lo scopo del “percorso di drammatizzazione” è duplice: da un lato creare un gruppo, con le sue dinamiche di socialità e i suoi effetti di integrazione; dall’altro far recitare i giovani con autismo in contesti realistici, per offrire loro strumenti, informazioni e anche linguaggio che torneranno utili quando in quegli stessi contesti si troveranno nella realtà.

Le famiglie interessate sono invitate a contattare Anffas Torino al telefono 011-3810723 o alla mail anffastorino.aps@gmail.com. Ricordiamo gli orari della segreteria: dal lunedì al giovedì dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 17, il venerdì solo al mattino dalle 9 alle 13.

Ragazzi che suonano strumenti musicali
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Laboratori di musica per persone con disabilità intellettiva, servono nuovi istruttori volontari

Il laboratorio di musica rivolto alle persone con disabilità intellettiva e disturbi del neurosviluppo, già operativo nella sede di Anffas Torino (via Bossi 24 a Torino), ha bisogno di nuovi istruttori volontari. Persone capaci di suonare uno strumento che abbiano voglia di dedicare una o due ore alla settimana per divertirsi con i ragazzi e le ragazze del corso.

Per ora è stata attivata un solo gruppo, con una quindicina di “allievi”, seguiti da un musicista volontario, che con loro suona la chitarra. Sono già troppi per un solo insegnante. E tante altre richieste di partecipazione non sono state accolte – almeno per ora – per l’oggettiva mancanza di personale qualificato a sostenere un percorso di avviamento alla musica.

Per questo Anffas Torino lancia un appello. Chi abbia voglia di mettere a disposizione degli altri le sue conoscenze musicali, è invitato a contattare Anffas Torino. Al telefono 011-3810723 o alla mail anffastorino.aps@gmail.com. Non serve essere musicisti professionisti. Infatti l’obiettivo principale delle lezioni è trasmettere la passione per la musica e, oltre a imparare le basi di uno strumento, suonare e divertirsi tutti insieme.

Perché un laboratorio di musica per persone con disabilità intellettiva?

La musica è un linguaggio capace di comunicare, trasmettere emozioni, percezioni, informazioni, contenuti. Senza voler entrare nel campo della musicoterapia, disciplina che richiede la partecipazione di personale adeguatamente formato.

Le persone con disabilità intellettiva e relazionale spesso hanno difficoltà nell’utilizzare il sistema di comunicazione convenzionale. Possono invece trovare nella musica un mezzo per interagire con gli altri. Esprimere emozioni e bisogni. Liberarsi dallo stress. Dare sfogo alla propria creatività. Nello stesso tempo, la musica esercita l’autocontrollo. Insegna le regole di utilizzo dello strumento e di convivenza con gli altri, perché suonare in compagnia è sempre più bello.

Due dita con disegno di un cuore
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Sessualità e disabilità: quella finestra da cui entra sempre la vita

Riportiamo l’articolo di Simona Lancioni* pubblicato su www.superando.it


Sessualità e disabilità

«La mia bambina mi si parò davanti che era già andata a prendersi i miei orecchini belli, quelli con la perla vera, mi strattonava, pretendeva che l’aiutassi a metterseli. Glieli appesi alle orecchie, la portai davanti allo specchio: – Ma lo vedi quanto sei ridicola?».

La mia creatura

Era una storia interamente raccontata in prima persona, quella de La mia creatura (e-book del «Corriere della Sera», 2013). Racconto breve che Clara Sereni utilizzò per dare forma alle preoccupazioni e alle premure di una madre. Non una madre qualunque, la genitrice di una figlia con disabilità intellettiva.

«La mia creatura», così la menziona quando la pensa. Probabilmente ignara del terribile inganno che possono generare gli aggettivi possessivi quando sono riferiti a persone. «La mia bambina», così la nomina in altri passaggi. A dispetto degli indizi che suggerirebbero che la fanciullezza della figlia sia ormai passata. «Preparai la cena, misi in tavola, la chiamai. Si alzò, sulla sedia c’era la macchia rossa maledetta, il sangue che non si sa quando arriva, mai una volta che sia regolare. La spogliai, la lavai, le misi tutto quel che serviva e un altro pigiama. Chiedendomi come tante volte perché quella disgrazia inutile, per una come lei che figli di sicuro non ne farà mai. A meno che qualcuno non si approfitti di lei, povera anima così ingenua e pura, per questo non abbasso mai la guardia» (grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni).

Il contesto e i personaggi

Una casa come tante, forse in provincia, in un luogo non specificato. Cibi sani e il conforto di abitudini consolidate. Ma proteggere è un compito impegnativo perché la vita non si lascia chiudere fuori facilmente. Ci sono i vicini, quel Ruggero, un muratore che canta sempre canzoni americane, e che a lei non piace, non è mai piaciuto, «a cominciare da quel nome, Ruggero: che se uno ruggisce prima o poi morde, no?».

Poi c’è la sua compagna, la straniera, «che a sentire loro si chiama Maddalena, ma nera com’è il nome sarà un altro di sicuro, impronunciabile. Insieme facevano finta di essere una coppia come tante, i colori diversi della pelle facevano a pugni con qualsiasi pretesa di normalità».

Quindi ci sono Teresa, un’altra vicina poco incline a farsi gli affari propri. Il parroco che viene a benedire la casa ma che non è lo stesso di sempre. E quell’assistente sociale che, capitata lì per altri impegni, guarda sua figlia con troppa insistenza.

C’è infine quella finestra che dà sul cortile. Quella a cui la figlia tende costantemente, quella da cui la vita, non cercata, può entrarti in casa senza chiedere il permesso.

I diritti delle persone con disabilità

È una storia al contempo struggente e inquietante quella che scaturisce dalla penna di Clara Sereni. Una storia che ci interroga, ma non dà risposte. E d’altronde la letteratura serve anche a questo. Ad attraversare temi impervi con l’illusione che le risposte, da qualche parte, ci siano. Un’illusione, appunto, perché in questa materia le risposte non sono mai date, vanno immaginate e costruite.

La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità un po’ di cose le ha cambiate. Non che sia stata applicata, questo no – ben poco di quello che c’è scritto ha trovato attuazione –, ma almeno ora esiste un pezzo di carta di una certa importanza. Il quale dice che sì, i diritti umani si applicano anche alle persone con disabilità.

C’era già scritto nella Costituzione, a dire il vero, ma in modo meno esplicito, meno dettagliato. Ora far finta di non capire è meno comodo. Poi va precisato che ci sono diritti che si possono esigere. Come il diritto allo studio o al lavoro. E altri che si possono “solo” riconoscere, rispettare e promuovere. Come il diritto ad essere riconosciuti come soggetti sessuati e a poter esprimere la sessualità. Questi ultimi diritti non si possono far valere nei confronti di nessuno e nessuna. Giacché le prestazioni sessuali non si possono pretendere da terze persone e lo scambio sesso-economico – che qui in Italia non è vietato, ma neanche disciplinato – non dispone di alcuna copertura giuridica.

Tema della sessualità delle persone con disabilità

Il tema della sessualità delle persone con disabilità si ripropone ciclicamente. A livello mediatico è spesso sbilanciato sulla rivendicazione del servizio di assistenza sessuale, che però è concepito con modalità ghettizzanti. Esso non è richiesto per tutte le persone che hanno difficoltà sessuali, ma solo per le persone con disabilità. Come se esclusivamente queste fossero depositarie di tali esigenze. In realtà una riflessione sulla libertà individuale di disporre del proprio corpo esigerebbe che prima di disciplinare lo scambio sesso-economico in funzione di un ristretto gruppo di utenti (le persone con disabilità), si disciplinasse la materia nel suo complesso. Giacché suona quanto meno bizzarro pensare di riconoscere giuridicamente un delicato aspetto della libertà individuale (quella di vendere il proprio corpo) solo se e fintantoché è funzionale alle esigenze di alcune persone con disabilità.

Eppure, riguardo alla sessualità delle persone con disabilità ci sarebbe molto da dire e da fare, a partire dall’istituzione di servizi di orientamento e consulenza psico-sessuologica sulle tematiche della sessualità, dell’affettività e della genitorialità specificamente dedicati a loro.

Un Servizio disabilità e sessualità è già presente a Torino, e si concretizza in due sportelli, uno per le persone con disabilità intellettiva, l’altro per quelle con disabilità fisico-motoria e i loro familiari. Qualche progetto è promosso anche dalle Associazioni di persone con disabilità, ma non c’è niente di organico e di strutturale.

Più penalizzate le donne con disabilità

In questo scenario quelle più penalizzate sono le ragazze e le donne con disabilità. Non è difficile trovare rapporti che documentino il fenomeno. Ad esempio l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, nel marzo del 2019 ha pubblicato il testo intitolato I diritti delle donne e delle ragazze con disabilità nella sfera della salute sessuale e riproduttiva [se ne legga ampiamente anche in «Superando.it», N.d.R.].

«Le donne e le ragazze con disabilità – vi si legge in un passaggio – sono sempre state considerate dalla società come individui privi di sessualità (asessuali) o affette da ipersessualità ed in ogni caso non idonee a vivere con un partner ed essere madri. Ciò ha portato a un controllo rigoroso e repressivo dei loro diritti sessuali e riproduttivi. La gestione coatta del ciclo mestruale, la sterilizzazione e la contraccezione forzata, la mutilazione genitale femminile e l’aborto forzato sono solo alcuni esempi di negazione dei diritti che molte donne e adolescenti con disabilità subiscono, senza peraltro aver potuto dare il proprio consenso o comprenderne appieno le motivazioni.

Le donne e le ragazze con esigenze di supporto elevate, quelle con disabilità intellettive o psicosociali, le donne che sono sordocieche e quelle con disabilità multiple, e in particolare quelle che vivono in contesti istituzionali sono particolarmente vulnerabili a tali abusi. Le donne con disabilità inoltre sono raramente sostenute durante la loro maternità ed incontrano molteplici barriere nell’accesso ai servizi di salute riproduttiva e ai percorsi di adozione».

Informazione e scelte autonome

Lo stesso documento non manca di avanzare proposte rivolte agli Stati. Tra le quali quella di garantire che non ci siano interferenze nelle scelte autonome delle donne con disabilità sulle decisioni che riguardano il proprio corpo poiché queste sono personali e private. Di garantire che le donne con disabilità siano bene informate sui loro diritti. E che ogni decisione venga presa previamente con il loro consenso pienamente informato. Quest’ultima indicazione si applica anche all’interruzione di gravidanza. In tal senso, gli Stati dovrebbero depenalizzare l’aborto in tutte le circostanze e legalizzarlo in modo da rispettare pienamente l’autonomia delle donne con disabilità. E ancora, di assicurare la fine di ogni forma di discriminazione e abuso in riferimento sia alla sterilizzazione che all’aborto o alla contraccezione forzata, sia alla mutilazione genitale femminile che all’incesto. Di garantire, infine, che tutte le donne con disabilità abbiano pieno accesso alla giustizia. Di assicurare che tutte le donne con disabilità abbiano accesso ad un’adeguata assistenza sessuale e riproduttiva e all’istruzione.

Autonomia, anche nella sessualità, delle persone con disabilità

C’è un passaggio del testo dell’EDF che merita di essere letto con particolare attenzione, ed è il seguente. «Per garantire pienamente il principio di autonomia, gli Stati devono abrogare tutte le forme di rimozione o di restrizione della capacità giuridica. E sostituirle con meccanismi di sostegno delle persone con disabilità alla presa di decisioni». Forse è questa una delle questioni più difficili da accettare. Il fatto cioè che si sia costruito intorno alle persone con disabilità intellettiva un sistema di protezione che in alcuni casi di rivela opprimente.

C’è sempre una finestra da cui entra la vita

È ancora difficile riscontrare riguardo alla libertà sessuale delle ragazze e delle donne con disabilità le stesse aperture che si è disponibili ad accordare loro in altri àmbiti della vita. Non sapremo mai quanta libertà e quanta vita sono in grado di gestire queste donne, se non siamo disponibili ad educarle a vivere sia l’una che l’altra. E non importa neanche quali mete riusciranno a raggiungere, purché l’atteggiamento non sia più di negazione e repressione. C’è sempre una finestra da cui entra la vita, si tratta solo di scegliere se impegnarci per tenerla chiusa, oppure di studiare un modo per provare a tenerla aperta.


*Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente approfondimento è già apparso. Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Alessandro Gassman e altri attori del film
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“Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più”. Libro + film sui Down

“Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più”. Libro e film che tratta l’argomento Down.

La presentazione del libro

“Hai cinque anni, due sorelle e desidereresti tanto un fratellino per fare con lui giochi da maschio. Una sera i tuoi genitori ti annunciano che lo avrai, questo fratello, e che sarà speciale. Tu sei felicissimo: speciale, per te, vuol dire «supereroe». Gli scegli pure il nome: Giovanni. Poi lui nasce, e a poco a poco capisci che sí, è diverso dagli altri, ma i superpoteri non li ha.

Alla fine scopri la parola Down, e il tuo entusiasmo si trasforma in rifiuto, addirittura in vergogna. Dovrai attraversare l’adolescenza per accorgerti che la tua idea iniziale non era cosí sbagliata. Lasciarti travolgere dalla vitalità di Giovanni per concludere che forse, un supereroe, lui lo è davvero. E che in ogni caso è il tuo migliore amico. Con Mio fratello rincorre i dinosauri Giacomo Mazzariol ha scritto un romanzo di formazione in cui non ha avuto bisogno di inventare nulla. Un libro che stupisce, commuove, diverte e fa riflettere.

Insomma, è la storia di Giovanni, questa. Giovanni che ha tredici anni e un sorriso piú largo dei suoi occhiali. Che ruba il cappello a un barbone e scappa via; ama i dinosauri e il rosso; va al cinema con una compagna, torna a casa e annuncia: «Mi sono sposato». Giovanni che balla in mezzo alla piazza, da solo, al ritmo della musica di un artista di strada, e uno dopo l’altro i passanti si sciolgono e cominciano a imitarlo: è uno che fa ballare le piazze.

Giovanni che il tempo sono sempre venti minuti, mai piú di venti minuti: se uno va in vacanza per un mese, è stato via venti minuti. Che sa essere estenuante, logorante, che ogni giorno va in giardino e porta un fiore alle sorelle. E se è inverno e non lo trova, porta loro foglie secche. Giovanni è mio fratello. E questa è anche la mia storia. Io di anni ne ho diciannove, mi chiamo Giacomo”.

Efficace trasposizione cinematografica

Non serve aggiungere molto alla presentazione che Giacomo Mazzariol fa del suo libro, “Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più”, edito da Einaudi nel 2016 (€ 16,50). Un libro bellissimo e di grande successo, su un argomento difficile come le persone Down. Nel 2019 ha anche avuto una altrettanto efficace trasposizione cinematografica, con la regia di Stefano Cipani e un cast prestigioso con Alessandro Gassmann e Isabella Ragonese. Clicca qui per leggere la recensione sul sito www.mymovies.it.

Altri consigli cinematografici

Un film da non perdere è Colegas, che racconta l’avventura on the road di tre amici con la Sindrome di Down: qui la recensione.

Raccontare il diritto alla felicità: il film “Vengo anch’io”. Qui la recensione.

Copperman, in ognuno di noi c’è un supereroe: qui la recensione.

Scritta Teatro8
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10 anni di doppiaggio, teatro, amicizia e disabilità: auguri al Teatro8

10 anni di doppiaggio, teatro, amicizia e disabilità: auguri al Teatro8. Il 20 giugno l’Associazione di Promozione Sociale Teatro8, che svolge attività di formazione nell’ambito del doppiaggio e di produzione di spettacoli teatrali, ha compiuto 10 anni.

Un traguardo importante che è stato festeggiato con un video. I ragazzi e le ragazze con disabilità intellettiva e relazionale che lo frequentano e si cimentano nel teatro, raccontano cosa gli piace del Teatro8. Le attività di doppiaggio e di teatro, certo, ma soprattutto un luogo dove sentirsi a proprio agio. Un’occasione per svolgere attività interessanti e formative, un punto di ritrovo e di confronto per un gruppo di amici.

Auguri anche da parte di Anffas Torino!

Il prossimo progetto? Un video promozionale dedicato a Villa della Regina il cui commento audio verrà realizzato dai ragazzi appartenenti allo spettro autistico. Il risultato finale sarà presentato nel week end del 25 e 26 settembre presso Villa della Regina… stay tuned!

Copertina Fiori per Algernon
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Fantascienza e disabilità nel racconto “Fiori per Algernon”

Fantascienza e disabilità sono i cardini di “Fiori per Algernon (Flowers for Algernon)”, racconto scritto nel 1959 da Daniel Keyes, vincitore del premio Hugo per il miglior racconto breve nel 1960, poi ampliato in un romanzo che vinse il Premio Nebula. È considerato un classico della letteratura in lingua inglese del XX secolo e uno dei più bei racconti di fantascienza di sempre. Ha avuto numerosi adattamenti, per televisione, teatro, radio, inoltre l’adattamento cinematografico “I due mondi di Charly” ha ottenuto l’Oscar al miglior attore nel 1969. Il racconto è stato tradotto in italiano per la prima volta nel 1959 nell’antologia Le meraviglie del possibile (curata, per inciso, da Fruttero e Lucentini), il romanzo è stato tradotto nel 1967.

Racconto

Charlie Gordon, un inserviente con disabilità mentale, ha il compito di lavare il pavimento in una fabbrica. È cosciente di non essere intelligente quanto gli altri ma sogna di diventarlo, così, quando la sua insegnante Alice Kinnian gli parla di un procedimento sperimentale per aumentare l’intelligenza, decide di provarlo. Diventa così la prima cavia umana dell’operazione ideata dai professori Nemur e Strauss, che hanno già triplicato l’intelligenza di un topo di nome Algernon.

Charlie diventa sempre più intelligente: batte Algernon nella soluzione dei labirinti (mentre all’inizio era sempre il topo a vincere), prende per un po’ lezioni private da Alice – con cui allaccia un’amicizia – ma alla fine supera la maestra, e persino i professori che l’hanno operato, diventando un genio. Non tutti gli aspetti della sua vita, però, cambiano in meglio: Charlie si rende conto con dolore che era stato preso in giro per la sua stupidità dai suoi compagni di lavoro, mentre questi, spaventati dal suo misterioso cambiamento, firmano una petizione per farlo licenziare. Quando Charlie, con orrore, scopre altre persone ridere di un garzone ritardato – come i suoi vecchi compagni facevano con lui – lo difende ad alta voce, trovando uno scopo nella vita: aiutare chi è affetto da disabilità mentale.

Improvvisamente, però, l’intelligenza di Algernon comincia a mostrare segni di declino, quindi il topo muore. Svolgendo delle ricerche personalmente, Charlie scopre che gli effetti dell’operazione sono temporanei. E di lì a poco inizia a perdere le sue capacità intellettuali, cadendo in depressione. Ritrova il lavoro alla fabbrica, dove, conoscendo la sua storia, i suoi amici ora lo rispettano. Ma un giorno, dimenticandosi di tutto ciò che è successo, torna alla scuola per ritardati. Alice, vedendolo, scoppia a piangere. Charlie decide di andarsene per non darle più simili dispiaceri. E nella postilla della lettera d’addio (ormai di nuovo completamente sgrammaticata) chiede che qualcuno metta ogni tanto dei fiori sulla tomba di Algernon, nel suo cortile.

Romanzo

Il romanzo del 1966 ha essenzialmente la stessa trama del racconto. Con delle modifiche minori (ad esempio Charlie lava i pavimenti in una panetteria anziché in una fabbrica) ed alcune aggiunte.

Attraverso flashback ci viene presentata la famiglia di Charlie. Una madre violenta e ossessionata dalla “diversità” di suo figlio. Un padre rassegnato che alla fine lo porta via da casa per sottrarlo alla collera della moglie. Una sorella minore che lo detesta perché il fratello le complica la vita. Charlie inizia una relazione sentimentale con Alice, che rischia di naufragare quando, a causa del suo intelletto superiore, tutti i suoi interessi sono oltre la comprensione di lei.

Un altro periodo in cui il loro amore è a rischio è quando Charlie sta perdendo l’intelligenza. È preda di frequenti sbalzi d’umore, rabbia e depressione. Quando Charlie torna alle sue condizioni iniziali, la loro storia è ormai finita. Ad un certo punto, mentre è un genio, Charlie scappa per allontanarsi dall’influenza dei professori Strauss e Nemur, portando con sé Algernon. Fa conoscenza con un’artista chiamata Fay, sua vicina di casa nell’appartamento in cui si stabilisce. E allaccia con essa una breve relazione. Quando la mente di Algernon inizia a regredire, comunque, Charlie riprende il contatto con i professori – per capire cosa sta accadendo al topo – e con Alice.

Stile di scrittura e temi

La storia è narrata in prima persona da Charlie nei suoi diari. Così che il lettore possa rendersi conto dei cambiamenti che il protagonista attraversa nel corso della vicenda. I primi resoconti sono pieni di errori di grammatica ed esprimono una visione del mondo molto ingenua. Così il lettore capisce molto più di quanto non comprenda lo stesso narratore. Charlie, ad esempio, scrive di non capire perché i suoi compagni dicano “Non fare il Charlie Gordon” a chi fa qualcosa di stupido. Via via la grammatica e la comprensione del mondo di Charlie migliorano, per poi regredire allo stato iniziale alla fine della storia.

Al di là dell’idea fantascientifica di base, Fiori per Algernon tocca molti temi riguardanti il ruolo dell’intelligenza e della cultura nella vita. Uno dei temi più importanti – specialmente nel romanzo – è la posizione delle persone con ritardo mentale nella società. Il loro inserimento e la discriminazione cui sono soggetti. Una condizione di cui Charlie fa esperienza da entrambi i lati della barricata. Sempre nel romanzo, Charlie nota con irritazione di essere talvolta trattato come la cavia di un esperimento anziché come un essere umano. Che gli uomini vengano considerati solo come dati di un esperimento, senza riguardo per la loro dignità di persone, è uno dei rischi delle scienze umane moderne.

Altri consigli letterari

“Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più”: clicca qui.

“Noi due siamo uno” di Matteo Spicuglia: clicca qui.

 

Panchina Andrea Soldi
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“Noi due siamo uno” di Matteo Spicuglia. La storia di Andrea Soldi, affetto da schizofrenia

“Il 5 agosto 2015 la città è caldissima, qualcuno è già in vacanza, altri cercano un po’ d’aria nei giardini del quartiere. Anche Andrea Soldi è seduto su una panchina, ma quella è la “sua” panchina sempre, in ogni stagione. Lì si rifugia quando i pensieri lo assalgono, lì trova conforto e si sente a casa. Andrea soffre da anni di schizofrenia, la madre, il padre e la sorella sono il suo sostegno e piazza Umbria il posto del cuore. Ha quarantacinque anni, non è violento, non è mai stato pericoloso, eppure, quel 5 agosto morirà a causa di un Trattamento sanitario obbligatorio eseguito da alcuni vigili urbani e dal personale medico”.

Così si legge sulla quarta di copertina di “Noi due siamo uno”, libro scritto con una delicatezza e una sensibilità davvero toccanti dal giornalista del TG3 Matteo Spicuglia e pubblicate da Add editore.

Cronaca, biografia, saggistica

Non è un libro di cronaca, infatti il processo ai responsabili è la “parte meno importante”. Non è solo una biografia e non è un saggio sul disagio mentale, ma un po’ di tutto questo. La storia di Andrea Soldi emerge dalle pagine del suo diario, che riesce a descrivere in modo sorprendente il percorso psicologico, le allucinazioni e i silenzi che nascono durante il servizio militare e lo avvolgono per più di vent’anni, e dai racconti del padre Renato e della sorella Cristina.

Dalla schizofrenia al disagio mentale e alla disabilità

Ma il discorso, grazie al contributo di psicologi, medici ed esperti del settore, si allarga al disagio mentale e alla disabilità. Alla sofferenza che provoca ai malati e alle famiglie. Ai pregiudizi. E soprattutto all’inadeguatezza dei servizi medici e sociali nella gestione di patologie che soffrono ancora lo stigma sociale. C’è un’evoluzione anche in questa risposta “pubblica”. Parte dalla medicalizzazione e dall’internamento (o dall’abbandono alle famiglie). E  arriva ad affrontare la malattia mentale in un contesto diverso, guardando la persona nella sua interezza e nella sua socialità. Cercando di costruire un percorso personalizzato. Appoggiandosi su percorsi lavorativi e realtà di sostegno che in Italia già esistono, ma non sono sufficienti.

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