Lucio Moderato

È morto il professore Lucio Moderato, autorità riconosciuta in tutto il mondo per il suo impegno in tema autismo

È morto il professore Lucio Moderato, autorità riconosciuta in tutto il mondo per il suo impegno in tema autismo. Psicologo e psicoterapeuta, direttore dei Servizi per l’autismo della Fondazione Sacra Famiglia di Milano, docente di Pedagogia dei disturbi generalizzati dello sviluppo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano/Brescia. Responsabile scientifico di numerose associazioni e fondazioni, è autore di più di 100 pubblicazioni riguardanti i processi abilitativi nella disabilità intellettiva e l’autismo. Recentemente è stato insignito della Carica di Cavaliere all’Ordine della Repubblica Italiana per meriti scientifici e umanitari.

Classe 1955, era rimasto contagiato dal SarsCoV2 e ha lottato a lungo. La notizia è stata data dalla stessa Fondazione: “Un grave lutto ha colpito Sacra Famiglia: è mancato, dopo aver lottato contro il Covid, il professor Lucio Moderato, direttore dei Servizi innovativi per l’autismo di Fondazione. Un enorme dolore per noi, per i colleghi che l’hanno conosciuto e apprezzato in questi anni, per le migliaia di famiglie e di bambini, giovani e adulti con autismo per cui il professor Moderato ha speso la vita senza risparmiarsi mai. Grazie Lucio per quello che hai fatto e per come lo hai fatto».

A settembre aveva inaugurato gli appartamenti di via Campigli a Varese, destinati ai genitori a cui è stato appena diagnosticato l’autismo del figlio: una palestra dove imparare il ruolo di padre e madre di un bimbo con esigenze particolari. Al fianco di Elio, da sempre amico e sostenitore della Fondazione, il professor Moderato aveva spiegato il progetto innovativo di questo spazio di accoglienza: «Ho imparato in questi anni che il supporto maggiore va dato ai genitori, che spesso noi operatori tendiamo a colpevolizzare e rimproverare davanti ai loro comportamenti insistenti. Questi quattro appartamenti nascono da un’indagine su cosa abbiano bisogno per affrontare la loro vita famigliare».

Grande commozione tra pazienti e parenti seguiti in questi anni ma anche dai colleghi che ne hanno apprezzato la visione e lo spirito innovativo. Anffas Torino si unisce al dolore della famiglia, cui porge le sue più sentite condoglianze.

Persone su una panchina guardano l'orizzonte
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Aprirà a gennaio lo sportello di progettazione individualizzata sul “Durante Noi, Dopo di Noi”

Finalmente ci siamo: dopo un anno di lavoro, aprirà a gennaio lo sportello che si occuperà della progettazione in merito al cosiddetto “Durante Noi, Dopo di Noi”, ovvero di redigere progetti individuali che consentano di concretizzare l’accesso alle misure previste dalla legge 112/16 alle singole persone con disabilità e alle loro famiglie.

Nella sede di Anffas Torino verrà ospitato uno dei 35 sportelli che verranno aperti su tutto il territorio nazionale all’interno del progetto “Liberi di scegliere… dove e con chi vivere” promosso da Anffas. Sono state formate due equipe che inizieranno a gennaio, come detto, con la stesura dei primi progetti.

Chi fosse interessato può scrivere alla mail segreteria@anffas.torino.it.

Riportiamo un esauriente articolo sull’argomento tratto dal sito www.vita.it.

“Liberi di scegliere… dove e con chi vivere”: è questo il titolo del nuovo progetto di Anffas, partito lo scorso settembre. Diciotto mesi per mettere in campo iniziative volte a fornire alle persone con disabilità e ai loro familiari accoglienza, supporto, formazione e informazione per dare concreta attuazione alla legge 112/16, conosciuta anche come legge sul “Durante Noi, Dopo di Noi”. È argomento per cui l’Associazione da sempre opera: già nel 1958, anno di fondazione di Anffas, i genitori delle persone con disabilità intellettive si chiedevano “chi si prenderà cura di mio figlio quando noi non ci saremo più?”. La presentazione ufficiale del progetto, finanziato dal Ministero del lavoro e politiche sociali per l’annualità 2018 a valere sul Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore di cui all’art.72 del decreto legislativo n.117/2017, si è svolta lo scorso 14 febbraio a Roma.

Con questa nuova iniziativa, Anffas vuole sperimentare percorsi di autonomia e vita indipendente tali da consentire un progressivo distacco, non in condizioni emergenziali, dalla famiglia di origine e favorendo allo stesso tempo il potenziamento della rete di infrastrutturazione sociale con il coinvolgimento di soggetti pubblici ed Enti del Terzo Settore. Alla base di “Liberi di scegliere… dove e con chi vivere” vi è la chiara consapevolezza della necessità di sperimentare e rendere operativi nuovi strumenti e nuove competenze, professionalità e risorse per garantire un sostegno adeguato alle persone con disabilità nel momento in cui le loro famiglie non risultino più in grado di fornirlo, andando però a scardinare il sistema di standardizzazione del supporto in questione, a cui purtroppo ancora oggi le persone con disabilità sono sottoposte, e ripensando i sostegni a loro dedicati seguendo la variabilità e la complessità dei loro bisogni, e quindi in un’ottica di personalizzazione di progetti, risorse, interventi attivati e da attivare.

La L.112/16 è un tentativo concreto di risposta, ma ad oggi il sistema di presa in carico non garantisce ancora l’accesso. L’attuazione della L.112/16, infatti, sta evidenziando che la legge da sola, in assenza di adeguati strumenti e modelli da seguire, non è sufficiente a garantire le adeguate risposte attese, con conseguenti discriminazioni di varia natura. Per questo nasce il progetto di Anffas: per individuare innovativi strumenti, luoghi ed attori che possano integrarsi efficacemente, in ottica sinergica nel sistema esistente ed in modo sussidiario rispetto all’ente pubblico.

In particolare gli obiettivi del progetto sono:

  • sperimentare forme congiunte di organizzazione e funzionamento dei punti unici di accesso (PUA) per la realizzazione del Progetto di Vita di cui all’art. 14 della L.328/00
  • sperimentare la costituzione di sportelli (35 sportelli su tutto il territorio) per la progettazione individualizzata per il concreto accesso alle misure previste dalla L.112/16
  • coinvolgere persone con disabilità e famiglie (nello specifico, 350 persone con disabilità tra i 18 e i 64 anni e 700 genitori e familiari tra i 35 e gli 85 anni) in un percorso di empowerment e partecipazione attiva ai vari momenti della valutazione multidimensionale, della progettazione individualizzata e di implementazione dei diversi sostegni ed interventi unitamente ad operatori del settore pubblico e privato
  • formare i componenti delle Unità di Valutazione Multidimensionale (nello specifico professionisti, operatori e tecnici di età compresa tra i 20 e 67 anni) sull’utilizzo di sistemi avanzati e validati scientificamente in grado di realizzare la valutazione multidimensionale dei bisogni e degli esiti rispetto ai vari e diversi domini della Qualità della Vita
  • sperimentare forme integrate di costruzione e gestione del budget di progetto con connessa implementazione del case manager

Tra i risultati che il progetto si propone di raggiungere vi sono anche una raccolta sistematica nazionale sulle misure previste dalla Legge 112/16 (buone pratiche, pratiche promettenti, percorsi di emancipazione, autonomia e vita indipendente, ecc.), linee guida e manuali sull’implementazione della Legge 112/16 rivolti a operatori del settore e componenti delle equipe multidisciplinari, persone con disabilità, familiari, ecc.), raccomandazioni per i responsabili dei servizi e decisori politici, almeno 35 sportelli per la progettazione individualizzata e la vita indipendente attivati e sperimentati, un big-data con la raccolta di tutti i dati relativi ai singoli progetti realizzati nel corso dell’iniziativa, almeno 5.000 destinatari indiretti sensibilizzati ed informati in merito alle possibilità offerte dalla legge 112/16, con priorità a quelli maggiormente coinvolti dalla tematica.

Fiale Vaccino Covid-19
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Garantire i futuri vaccini a tutte le persone con disabilità

Già sollevata a livello continentale dal Forum Europeo sulla Disabilità, la questione di una garanzia per tutte le persone con disabilità di poter accedere alla futura vaccinazione per il Covid-19 viene ora evidenziata a livello nazionale da FISH e FAND, tramite un messaggio al Ministro della Salute Speranza, ove si chiede appunto «il pieno accesso alle cure e alla salute in condizione di sicurezza ed agibilità anche rispetto alle differenti disabilità, a partire dai futuri vaccini che andranno garantiti alle persone con disabilità e alle persone con quadri clinici di particolare rischio». Anche il Presidente di Anffas Torino Giancarlo D’Errico aveva sottolineato l’urgenza di questa questione durante la presentazione, nella sede della Regione Piemonte, del Tavolo Regionale sulle Disabilità.

 

«Includere le persone con disabilità e le organizzazioni che le rappresentano nella pianificazione delle strategie di vaccinazione, fornendo loro, così come alla loro rete di sostegno un accesso prioritario a vaccinazioni sicure, affidabili e gratuite, quando saranno disponibili»: così, già alla fine di ottobre, l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, aveva dato evidenza alla questione della priorità da dare alle persone con disabilità, quando fossero state disponibili i vaccini per il Covid-19, tramite una lettera aperta a firma del di Yannis Vardakastanis, Presidente della stessa EDF, inviata a tutte le Istituzioni Europee.

Detto che tale iniziativa ha ricevuto nei giorni scorsi una risposta istituzionale, sulla medesima questione registriamo oggi, a livello nazionale, il messaggio inviato congiuntamente al Ministro della Salute Roberto Speranza da FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), a firma dei rispettivi Presidenti Vincenzo Falabella e Nazaro Pagano, ove chiedono «con urgenza e certezza la garanzia e il pieno accesso alle cure e alla salute in condizione di sicurezza ed agibilità anche rispetto alle differenti disabilità, a partire dai futuri vaccini che dovranno essere garantiti per tutte le persone con disabilità e alle persone con quadri clinici di particolare rischio, e non solo per coloro che si trovano in stato di ricovero, nel rispetto della loro libertà di scelta individuale e di quella delle loro famiglie».

«Il dilagare del Covid-19 nel nostro Paese e a livello mondiale – rilevano nel loro messaggio i Presidenti di FISH e FAND -, oltre che mettere a dura prova tutto il sistema Italia, e in particolare il nostro Sistema Sanitario Nazionale e quello di Protezione Sociale, ha fatto precipitare moltissime persone in uno stato di forte preoccupazione, resa ancor più grave dall’incertezza del prossimo futuro, di quelli che saranno i tempi necessari al superamento della crisi e delle conseguenze che questa avrà sulle nostre vite e sulle nostre relazioni sociali. Queste preoccupazioni, con le difficoltà connesse, sono ancora più forti tra le migliaia di persone con disabilità del nostro Paese, le cui condizioni di vita sono già ampiamente determinate da livelli di protezione e inclusione sociale che sappiamo essere non propriamente e adeguatamente compiuti».

«Non possiamo nascondere – prosegue il messaggio – che l’impatto della pandemia sulle nostre comunità ci obbligherà a ripensare molte cose nella nostra vita e a rimodulare alcune priorità in una direzione che preveda innanzitutto la garanzia di una maggiore tutela della salute e della sicurezza dei cittadini tutti, ma ancor di più di coloro che sono maggiormente vulnerabili ed esposti ai rischi connessi alla condizione di salute, trai i quali le tante persone con disabilità. Vanno quindi in campo da subito iniziative di salvaguardia rivolte alle persone con disabilità e alle persone “fragili” con quadri clinici di particolare rischio (immunodepressione; esiti da patologie oncologiche; particolari affezioni), per contrastare il contagio della pandemia».

È dunque alla luce di tutto ciò che i responsabili di FISH e FAND hanno posto la richiesta di cui si è detto inizialmente, di garantire cioè «i futuri vaccini a tutte le persone con disabilità e alle persone con quadri clinici di particolare rischio», non necessariamente che si trovino in stato di ricovero.

Fonte: www.superando.it

Copertina del Libro "Né giusto né sbagliato"
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Consiglio letterario: “Né giusto né sbagliato” di Paul Collins

Continuano i consigli culturali di Anffas Torino. Dopo aver proposto il film “Copperman – L’uomo di rame”, stavolta tocca a un libro: “Né giusto né sbagliato” di Paul Collins. A seguire la recensione, tratta dal sito www.adelphi.it.

Il piccolo Morgan Collins ha tre anni. Legge tutto quello che gli capita a tiro, dalle annate di vecchi giornali ai manuali di medicina. Ma se qualcuno gli chiede come si chiama non risponde, e le frasi più ovvie sono per lui un rompicapo insolubile. Per descrivere questo comportamento i medici sono soliti usare una parola semplice e definitiva: autismo. In realtà, come dimostra Paul Collins in questo affettuoso, disarmato e toccante ritratto dal vero di suo figlio, quella parola, prima che una diagnosi, è la soglia d’accesso a un continente misterioso e affascinante, con i suoi primi abitanti (il Ragazzo Selvaggio che sconcertò l’Europa del Settecento), i suoi cartografi (da Freud ad alcuni coraggiosi ricercatori di oggi, spesso non meno eccentrici dei loro pazienti), le sue imprevedibili propaggini (ad esempio i programmatori della Microsoft, che invece di guardarti in faccia seguono quello che dici sullo schermo del loro computer). Una volta chiuso a malincuore questo libro necessario e incantevole, intessuto di storie lontanissime fra loro, i lettori non sapranno probabilmente dire che cosa abbiano letto. E avranno una ragione di più per amare Collins quando afferma: «E comunque non è come pensano loro: non è una tragedia, non è una triste storia, e neppure il film della settimana. È la mia famiglia».

Paul Collins
Né giusto né sbagliato
Avventure nell’autismo
Adelphi editore
Traduzione di Carlo Borriello
2005, pp. 268
€ 18,00 

Tavolo regionale sulle disabilità
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Istituito il Tavolo Regionale sulle Disabilità

Questa mattina la sede della Regione Piemonte ha ospitato la conferenza stampa in cui è stata ufficializzata l’istituzione del Tavolo Regionale sulle Disabilità. Con l’Assessore alle Pari Opportunità Chiara Caucino, ne hanno parlato i rappresentanti delle principali associazioni regionali che si occupano di disabilità:

  • Pericle Farris, Presidente della FISH Piemonte – Federazione Italiana per il Superamento Handicap;
  • Vittorio Ghiotto, Presidente FAND Piemonte – Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità;
  • Giancarlo D’Errico, Presidente Anffas Piemonte e Anffas Torino, associazione delle famiglie di persone con disabilità intellettiva e disturbi del neuro sviluppo.

“È un passaggio importante dal punto di vista procedurale – commenta Giancarlo D’Errico – perché la nostra è la prima regione che istituisce un tavolo permanente sulla disabilità, da cui passerà il lavoro di tutti gli altri assessorati perché non c’è nessun argomento che non riguardi le persone con disabilità. Ringraziamo l’Assessore Chiara Caucino e il Presidente Alberto Cirio per la sensibilità e la lungimiranza dimostrata: avevamo espresso questa nostra esigenza fin dal nostro primo incontro, un anno e mezzo fa, e siamo contenti di essere stati capiti e ascoltati. Ora dobbiamo mantenere alta l’attenzione per non disperdere questo importante capitale”.

“Bisogna programmare un calendario degli incontri – continua il presidente Anffas – e stilare un’agenda delle priorità. Agli argomenti tradizionali, come lavoro, scuola e trasporti, si aggiungono le emergenze dettate dalla pandemia, come la gestione dei centri diurni e residenziali, l’assistenza domiciliare e soprattutto la necessità di inserire tra le categorie da vaccinare con priorità le persone con disabilità, le loro famiglie e il personale sanitario, infermieristico e assistenziale che lavora con loro. Tutto nell’ottica di costruire percorsi di vita autonomi e indipendente per ciascuna persona con disabilità, a partire dai bambini, per migliorare la loro qualità di vita e nel contempo per spendere in maniera più appropriata ed efficiente le risorse”.

Sulla pagina Facebook Anffas Torino, è disponibile il video completo della conferenza stampa.

Roberto Speziale
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Legge 328/2000 e politiche per le persone con disabilità – Presidente Speziale: A che punto siamo?

Fonte www.welforum.it | A cura di Roberto Speziale – La legge 328 ha da poco compiuto 20 anni e welforum.it ha inaugurato una raccolta di contributi su questo tema. Roberto SpezialePresidente nazionale Anffas, riflette sulla sua attuazione relativamente alle politiche per le persone con disabilità.

Una legge fondamentale e innovativa, in parte ancora da attuare

L’8 novembre di 20 anni fa il Parlamento Italiano approvava la Legge 328 intitolata “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

Nelle cronache di quei giorni la conclusione del lunghissimo iter della Legge venne salutata come l’avvento di una nuova concezione dell’assistenza sociale che ribaltava i concetti definiti dalla precedente Legge sull’assistenza sociale, risalente addirittura al secolo scorso:

  • concepire l’intervento socialenon come intervento riparatore di un “danno” ma come strategia integrata finalizzata al Bene Essere della Persona, definendo i livelli essenziali delle prestazioni sociali, da finanziare anche attraverso il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e la realizzazione del Piano Sociale Nazionale;
  • concepire le diverse competenze istituzionali non come confini burocratici e amministrativi entro cui difendere le proprie autonomie, ma come condizione di chiarezza sulle responsabilità dei diversi soggetti del sistema integrato;
  • concepire il ruolo dei soggetti di Terzo Settore non come supplente o più conveniente rispetto ai ruoli e ai costi della Pubblica Amministrazione, ma come portatori di interessi diffusi, a partire dal ruolo di advocacy e tutela dei diritti, delle istanze e dei bisogni dei cittadini, e quindi da intendere con ruoli attivi nella co-progettazione e nella ideazione degli interventi e dei servizi alla persona.

All’interno di questo corposo disegno c’è soprattutto un articolo che per le persone con disabilità riveste una importanza assoluta: si tratta dell’articolo 14 (Progetti individuali per le persone con disabilità) che prevede il diritto di ogni persona con disabilità – e di chi lo rappresenta – di chiedere al Comune di scrivere il proprio progetto personalizzato di vita, d’intesa con la ASL e dei diversi soggetti sociali e istituzionali che devono agire per realizzare la piena integrazione sociale.

Un altro articolo di fondamentale importanza, rimasto del tutto disatteso, è l’articolo 24 (Delega al Governo per il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo) che prevede la revisione dei sistemi di accertamento di invalidità civile e stato di handicap e delle provvidenze economiche collegate con il fine di meglio orientare l’obiettivo di tali misure verso il contrasto alla povertà e la promozione di incentivi alla rimozione delle limitazioni e valorizzazione delle capacità ed autonomie delle persone con disabilità, nonché lo snellimento delle procedure connesse.

Tuttavia, nonostante l’importanza di quanto previsto da questa Legge per migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità e dei loro genitori e familiari, a distanza di ben 20 anni:

  • i livelli essenziali di assistenza non sono stati definiti, il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali è stato più volte tagliato, il Piano Sociale Nazionale (approvato nel 2001) è rimasto lettera morta;
  • le competenze attribuite alle Regioni, alle Province e ai Comuni sono state sì chiarite e definite, ma siamo ancora molto lontani dal vedere le politiche integrate tra loro, e siamo ancora distanti dalla tanto attesa e agognata integrazione socio-sanitaria ;
  • il ruolo dei soggetti di terzo settore è ancora troppo spesso inteso in modo sbagliato o come supplenti delle difficoltà e delle inerzie della Pubblica Amministrazione , o come soggetti che, al massimo, devono essere sentiti e ascoltati, ma senza creare le condizioni di partecipazione e negoziazione auspicate dalla Legge 328;
  • l’art. 14 rimane largamente disatteso, inapplicato, ignorato;
  • l’art. 24 non è stato applicato ed i sistemi di accertamento sono basati su paradigmi superati e svolti con modalità che spesso creano iniquità e discriminazioni a danno delle persone con disabilità!

Perché è importante definire e adottare i LEP?

Sono trascorsi 20 anni dall’approvazione della legge 328/2000 che ha introdotto nel settore dei servizi sociali la nozione di livelli essenziali. E sono passati diciannove anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha innalzato a rango costituzionale il riferimento ai Livelli Essenziali delle Prestazioni sociali (LEP). Eppure, nel nostro Paese, perdura l’assenza di una normativa nazionale di determinazione dei LEP. Le motivazioni di tale ormai “storico” ritardo sono le più disparate e vanno da aspetti di sistema a quelle più prettamente organizzative. E’ del tutto probabile che tra le varie cause della mancata definizione dei LEP, tra le principali, se ne possano indicare almeno due: la prima è data indubbiamente dalla mancata costituzione di un capiente ed idoneo fondo nazionale; la seconda la difficoltà di procedere ad una standardizzazione delle prestazioni sociali sulla falsa riga di quanto già avviene, invece, nel settore sanitario e socio sanitario con i LEA.

Ma corrisponde al vero che nel settore dell’assistenza sociale, risulta troppo complicato procedere a tale standardizzazione? Da più parti si ritiene che, pur nella sua complessità, è possibile individuare un catalogo di interventi e prestazione sociali che possano assumere, appunto, la connotazione di interventi e prestazioni sociali da garantire in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale. La seconda domanda che occorre porsi è se ancor oggi permane l’esigenza di realizzare un sistema di livelli essenziali di interventi e prestazioni sociali. Per rispondere a tale quesito basta prendere a riferimento i dati inseriti nel Piano per la non autosufficienza 2019-2021 che così recita:

Il carattere più sorprendente della spesa sociale è la sua sperequazione territoriale: si va da 21 euro pro capite della Calabria ai 342 della Provincia Autonoma di Bolzano. A fronte di una spesa media pro capite nazionale di poco meno di 100 euro, nel Nord si spendono più di 120 euro e nel Mezzogiorno poco più della metà. Nell’area disabilità e anziani, a fronte di 50 euro di media nazionale, si va dai 10 euro pro capite della Calabria ai 170 della Val d’Aosta e di Bolzano. E la sperequazione è ancora più accentuata se si osservano i dati a livello infra regionale e cioè di Ambito territoriale, la realtà associativa di comuni responsabile della programmazione sociale”.

Appare evidente, pertanto, che lo Stato, non avendo provveduto ad esercitare le sue prerogative legislative in materia e non costituendo un adeguato e capiente fondo nazionale, ha finito anche con il deresponsabilizzare le Regioni che, nel migliore dei casi hanno posto in essere propri interventi nelle forme e modalità più disparate, ma che, in molti casi tali interventi sono risultati del tutto inidonei o quasi inesistenti. La penalizzazioni per milioni di cittadini è stata ed è quindi evidente. Tanto che negli ultimi decenni si è assistito ad un progressivo peggioramento delle condizioni sociali e socio economiche di una consistente parte della popolazione. La mancanza di un adeguato sistema di welfare che garantisca, in modo omogeno sull’intero territorio nazionale, adeguati sostegni e parità di diritti ed opportunità per tutti, ha finito con esporre tale popolazione a maggiori rischi di emarginazione ed esclusione sociale, acuendone le differenze, anche territoriali e non solo nella “storica” accezione Nord-Sud.

Cosa rimane da fare?

Anche alla luce delle nuove emergenze legate alla pandemia in atto, diviene non più rinviabile l’esigenza di procedere a definire ed emanare i LEP.

Prima di mettere mano a tale impianto, sarebbe opportuno tenere conto di alcune considerazioni. Il modello basato sulla rilevazione standardizzata del bisogno (logica dei Piani di Zona), fin oggi largamente utilizzato, si è rilevato del tutto inidoneo a rispondere alle reali esigenze dei cittadini; gli interventi di tipo economico, largamente finalizzati alla “mera monetizzazione del bisogno”, spesso sono risultati del tutto inidonei ed in assenza di in più ampio, articolato e coordinato intervento, addirittura controproducenti. Soprattutto in alcune aree del paese, non di rado si sono registrati fenomeni distorsivi nell’uso di tali risorse, con scarso risultato per i beneficiari primari.

Una quota consistente delle risorse destinate al sociale viene destinata al funzionamento della struttura burocratica che non sempre è organizzata in modo tale da essere funzionale alla finalità a cui è preposta.

Le prestazioni ed i servizi, siano essi sanitari-socio/sanitari-sociali etc., sono prevalentemente organizzati in modo standardizzato. In essi si tiene più conto delle “economie di scala” o di aspetti prevalentemente strutturali ed organizzativi (vedi grandi centri residenziali per persone con disabilità e per anziani non autosufficienti) che non della qualità della vita delle persone che di tali servizi devono fruire.

Si tende, troppo spesso ad adattare le persone ai servizi e non a realizzare il massimo sforzo possibile per adattare (personalizzare) i servizi, gli interventi le prestazioni, alle persone.

Pertanto nella definizione di un nuovo sistema di welfare, a partire dai LEP, occorrerebbe capovolgere l’attuale sistema di rilevazioni di bisogni e connessa organizzazione dei servizi, superando la logica della “protezione sociale” e della standardizzazione di interventi, servizi e prestazioni, guardando sempre più ad un modello che in chiave biopsicosociale: sia in grado di riconoscere e garantire diritti umani, civili e sociali; sia proiettato ad modificare i contesti in chiave sempre più inclusiva; sia in grado di attivare percorsi di empowerment delle persone; sia collocato dentro politiche di mainstreaming.

In buona sostanza si tratta di pensare ed attuare un sistema nel quale effettivamente nessuno venga mai lasciato indietro o sia discriminato, emarginato o segregato a causa della sua condizione o diversità, ma venga messo in condizione (grazie ad adeguati sostegni) di affrancarsi dalla propria condizione o poterci convivere senza doverne subire particolari negative conseguenze.

In questa ottica il livello essenziale base dovrebbe essere quello del diritto di ognuno di poter disporre di un proprio progetto individuale e personalizzato di vita (ex art. 14 della legge 328/2000) o di un progetto di contesto, essendo messo nelle migliori condizioni per darne concreta e compiuta attuazione. Per raggiungere gli obiettivi contenuti in tale progetto – che deve tenere prioritariamente conto dei desideri, aspettative e preferenze della persona interessata – vanno prima rilevate le condizioni del contesto personale, familiare e sociale in cui la persona vive opera, lavora, etc. e quindi dettagliatamente indicati i sostegni, sia formali che informali, di cui quella singola persona necessita per avere la migliore qualità di vita possibile. Il progetto individuale e personalizzato deve essere, altresì: inserito in una idonea rete integrata di servizi (infrastrutturazione sociale); essere corredato di un apposito budget di progetto (indicazione delle risorse, distinte per tipologia ed area di intervento, e concreta disponibilità delle stesse); vedere la chiara indicazione di un responsabile dell’attuazione del progetto (case manager); contenere degli indicatori di efficacia basati sulla verifica del miglioramento dei vari domini della qualità della vita del soggetto titolare del progetto stesso.

Altra inversione, rispetto all’attuale sistema, che dovrebbe essere attuata, riguarda il cosiddetto “ciclo delle risorse”. Oggi, il sistema di stanziamento delle risorse avviene, più che altro, facendo riferimento alla cosiddetta “spesa storica” o altri criteri che evidentemente non tengono in debito conto le reali esigenze dei cittadini destinatari. Inevitabilmente tali risorse finiscono con il risultare del tutto sperequate ed insufficienti e, nel contempo, resta molto esigua la platea dei destinatari. Quando finiscono le risorse, o le stesse non risultano adeguate, finisce anche la garanzia di diritti fondamentali. Tale insulso sistema è stato più volte censurato dalla magistratura competente e numerose sono le sentenze che ribadiscono che tali diritti sono, invece, incomprimibili e non possono essere limitati o ridotti neppure per la carenza di risorse che, invece, vanno sempre ricercate e rese disponibili. A ciò si aggiunge che numerose Regioni si sono dotate di un sistema normativo farraginoso, complicato e contradditorio e non riescono, in molti casi, a spendere le risorse assegnate o lo fanno con notevole ritardo con evidente ed ulteriore danno per i destinatari.

In ultimo andrebbe sin da subito chiarito che il Terzo Settore non può più essere considerato dalla pubblica amministrazione quale un mero fornitore di servizi e prestazioni, spesso con un sistema di remunerazione molto al di sotto della soglia di remunerazione, o mero fornitore di “manodopera a basso costo”. Occorre bensì, forti anche di quanto introdotto con la riforma del Terzo Settore, saperne cogliere appieno la portata innovativa e la grande opportunità offerta addivenendo, sin da subito, ad un sistema basato sul sistema costituzionale della sussidiarietà orizzontale. Un sistema che trova negli istituti della coprogrammazione e coprogettazione gli strumenti per qualificare un nuovo e diverso rapporto che veda nel perseguimento del bene comune, della solidarietà e coesione sociale, nell’espletamento di attività di interesse generale, senza fini di lucro, il comune ambito di intervento e rinnovata alleanza per garantire a tutti inclusione sociale, parità di diritti ed opportunità.

In buona sostanza i LEP vanno collocati dentro una grande riforma del sistema di Welfare del nostro paese, ma per fare ciò occorre compiere quel necessario salto culturale che, ancorato agli obiettivi di sviluppo sostenibile del pianeta fissati dalle Nazioni Unite, tenendo conto delle evidenze demografiche, non si limiti a manutentare l’esistente ma sia realmente in grado di attuare un cambiamento profondo.

Bambino che gioca con puzzle gigante
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Circle Life Kids – Presa in carico precoce e globale dei bambini con DSA

Valorizzare le abilità delle persone con Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) e seguirne la vita a 360 gradi, dalla diagnosi e dagli interventi precoci nei primi anni di vita fino al cosiddetto “dopo di noi”, creando un progetto di vita autonomo e indipendente conforme alle capacità e alle aspettative del singolo: è l’ambizioso obiettivo del progetto “CircLe Life”, che vuole unire in rete privato sociale, pubblico e volontariato, con l’obiettivo di favorire percorsi di continuità e definire delle buone pratiche da estendere in altre realtà.

In attesa della completa ristrutturazione del centro diurno abilitativo di via Nizza 151 a Torino, che diventerà la sede operativa, il progetto “Circle Life” è partito due anni fa con la presa in carico di 10 ragazzi nella fase di uscita dalla scuola dell’obbligo, quando rischiano di essere “abbandonati a sé stessi” vista la difficoltà di inserimento lavorativo e la mancanza di percorsi specifici, un vuoto che rischia di vanificare gli sforzi e i progressi fin lì compiuti. Ora sta iniziando una seconda fase, quella della presa in carico precoce, denominata “Circle Life Kids”. Il terzo step riguarderà la vita adulta: pezzo dopo pezzo, tutto il cerchio della vita delle persone con DSA verrà coperto.

CIRCLE LIFE KIDS

La presa in carico precoce dei bambini e delle bambine con DSA, ovvero il passaggio dalla diagnosi agli interventi precoci, è un argomento molto delicato. Esiste infatti un generale accordo sul fatto che l’avvio degli interventi fin dalla più tenera età possa aumentare le competenze e migliorare le abilità dei bambini con ADS, nonché la qualità di vita delle loro famiglie.

Le linee guida 21 dell’Istituto Superiore della Sanità permettono di effettuare screening e diagnosi di ASD già nelle prime fasi dello sviluppo, tra i 18 e i 36 mesi: da questo punto di vista, molto è stato fatto e non mancano i professionisti appositamente formati per questo tipo di attività.

Invece, difficoltà molto maggiori riguardano la presa in carico precoce: nonostante l’impegno delle Asl per rispondere alle richieste, la mancanza di formazione specifica e i lunghi tempi burocratici fanno sì che la stragrande maggioranza delle famiglie non abbia una presa in carico precoce e globale. Teoricamente, le figure per attuare un intervento intensivo sull’autismo (secondo le linee guida 21) ci sono: medici, psicologi, logopedisti, psicomotricisti, insegnanti di sostegno, affidatari e volontari che danno una mano, ovviamente le famiglie. Manca la formazione specifica, a tutti i livelli, e manca la visione d’insieme che permette di strutturare un piano di interventi unitario.

Un dato significativo: a Torino e provincia, le diagnosi di ASD sono circa 100 all’anno, che ovviamente vanno a sommarsi a quelle degli anni precedenti nel novero dei casi da seguire. Il sistema sanitario pubblico non ce la fa, di conseguenza molte famiglie sono obbligate a rivolgersi al settore privato.

È in questo drammatico vuoto che vuole inserirsi Anffas Torino, che si mette al servizio di un bisogno delle famiglie, per avviare una presa in carico precoce e globale dei bambini e delle bambine con disturbi dello spettro autistico. I passaggi fondamentali sono tre:

  • Osservazione della situazione
  • Costruzione di una “rete” e costruzione di un piano di lavoro personalizzato
  • Interventi e monitoraggio

FASE 1 / OSSERVAZIONE – Per costruire un efficace intervento personalizzato, l’indispensabile fase preliminare è quella dello studio della situazione di fatto, condotta da parte di psicologi appositamente formati. È un processo che richiede 2/3 mesi di lavoro ed è finalizzato a far emergere le principali difficoltà e, di conseguenza, costruire un piano di intervento. Ne fanno parte interviste (a famiglia, insegnanti, logopedista, psicomotricisti ed eventuali altri professionisti), somministrazione di test e osservazioni nei contesti principali, ovvero casa e scuola.

FASE 2 / COSTRUZIONE DELLA RETE E DEGLI INTEVENTI PERSONALIZZATI – Tutti i soggetti coinvolti in fase di osservazione costituiscono la “rete” che prende in carico il soggetto con DSA (quindi famiglia, cui viene proposta una formazione specifica, scuola e sanità, ovvero pediatri, psicologi, medici specialistici…), secondo un programma di lavoro personalizzato condiviso da tutte le parti in causa. Il senso è che ogni singolo intervento aumenti il suo valore e la sua efficacia perché inserito in una strategia generale di interventi che vanno nella stessa direzione, e non siano mai in contraddizione tra di loro (come purtroppo capita quando manca una linea comune).

FASE 3 / INTERVENTI E MONITORAGGIO – Gli interventi, step by step, possono e devono durare per tutta la vita della persona, adattandosi allo sviluppo di sempre maggiori competenze. Come detto, gli interventi devono comprendere la scuola, in particolare le 18 ore di presenza dell’insegnante di sostegno (che, ricordiamo per inciso, è della classe e non del singolo, nel senso che deve provvedere all’inserimenti e all’integrazione del soggetto in difficoltà con la classe), la famiglia e gli altri eventuali appuntamenti settimanali, come quelli dal logopedista e dallo psicomotricista. Anche in periodo di Covid, è meglio che gli interventi vengano fatti di persona, nel pieno rispetto dei protocolli vigenti. Condizione necessaria affinché le strategie e gli interventi siano sempre attuali, sono le supervisioni trimestrali per valutare i progressi e le riunioni, anch’esse trimestrali, tra tutti i soggetti che formano la rete.

Il progetto “Circle Life Kids”, per essere sostenibile, deve coinvolgere le Asl tramite apposite convenzioni, anche perché va a risolvere un problema di gestione, altrimenti insormontabile, alle Asl stesse. Anffas Torino, con il coinvolgimento professionisti di grande spessore e con il necessario supporto pubblico, si propone così di risolvere una generale “mancanza” presa in carico precoce e globale delle persone con DSA, ovvero la fase che segue le diagnosi precoci che invece hanno raggiunto un ottimo grado di tempestività ed efficacia. Ne traggono beneficio tutte le parti in causa: il servizio pubblico, le scuole, i professionisti del settore e – naturalmente – le famiglie, che grazie alla presenza e alla rappresentanza garantita da Anffas, sono in grado di far valere pienamente i diritti propri e soprattutto dei bambini e delle bambine con disturbi dello spettro autistico. Non ultimo, l’autistico che riceve un intervento precoce e intensivo avrà bisogno di minori supporti per il resto della propria vita: in prospettiva è evidente il vantaggio, anche economico, che sanità e politiche sociali ricaverebbero sostenendo il progetto “Circle Life Kids”.

Copertina Comunicazione aumentata e alternativa
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Corso di formazione sulla Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA)

Con Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) si indica un insieme di conoscenze, tecniche, strategie e tecnologie atte a semplificare e incrementare la comunicazione nelle persone che hanno difficoltà a usare i più comuni canali comunicativi, con particolare riguardo al linguaggio orale e alla scrittura. Viene definita Aumentativa in quanto non si limita a sostituire o a proporre nuove modalità comunicative ma, analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per incrementare le stesse (ad esempio le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni); Alternativa in quanto si avvale di strategie e tecniche diverse dal linguaggio parlato. Tale “approccio” ha come obiettivo la creazione di opportunità di reale comunicazione e di effettivo coinvolgimento della persona; pertanto dev’essere flessibile e su misura della persona stessa.

Anffas Torino aveva affrontato questo importante argomento nel corso di formazione intitolato “Disturbi dello spettro autistico in età adulta, possibili aree di intervento e strumenti”, che si è tenuto lo scorso febbraio, in particolare con gli interventi delle dottoresse Nataly Vivenzio e Carla Tagliani del Centro sovranazionale per la CAA Ca Grande (Milano).

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Ora è disponibile in rete un altro corso di formazione: “CAA: risorse e strategie. Un contributo qualificante per la scuola dell’inclusione e dell’innovazione”, iniziativa di Fondazione per la Scuola e Fondazione Paideia, nell’ambito del progetto Riconnessioni.

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Questi gli argomenti del corso.

  1. Introduzione alla Comunicazione Aumentativa Alternativa – Avere difficoltà nell’espressione verbale, non poter esprimere a parole i propri bisogni e pensieri causa difficoltà di relazione e di partecipazione al proprio contesto di vita. A volte si aggiungono difficoltà di comprensione verbale che rendono il percorso di vita ancora più complesso. La Comunicazione Aumentativa Alternativa è una pratica clinica che nasce con l’intento di compensare tali difficoltà, favorendo la partecipazione.
  2. Il testo in simboli della CAA – Per chi non ha accesso ai testi la scrittura in simboli rappresenta una facilitazione. Proponendosi come sistema integrato (sinsemia), il libro in simboli apre a diverse possibilità di lettura condivisa. Anche questo tipo di testo, come tutti gli altri, ha livelli diversi di complessità; è compito del docente scegliere quello adatto ad ogni bambino, confezionarlo “su misura”.
  3. Dalla proto-lettura alla lettura accessibile e personalizzata – Pur avendo compiuto un percorso evolutivo dal gesto al linguaggio, nella comunicazione permane ancora il gesto deittico; lo utilizziamo nella lettura dei libri in simboli (modeling). La capacità di riferirsi a oggetti e dati esterni e di tenere vivo il collegamento al contesto assicura un efficace apprendimento al simbolico, favorendo l’esperienza di acquisizione dei significati. Con queste competenze possiamo costruire l’accessibilità e promuovere la personalizzazione della lettura.
  4. L’atmosfera di parola e la lettura partecipata – Il libro è un oggetto aperto, come lo è ogni storia; dentro possiamo afferrare diverse possibilità di comprensione, interpretazione, apprendimento. Una efficace strategia di inclusione inizia con la creazione di un’atmosfera di parola (spazio e tempo in cui far risuonare i significati e sviluppare competenze comunicative). Così accade la partecipazione, ancor più facilitante quando assume sembianze di gioco. E allora il gruppo classe diviene comunità narrativa…
  5. I libri in simboli per lo sviluppo della competenza lessicale – I libri sono come scrigni, che contengono nuclei di parole connesse fra loro da rapporti di significato. Nei libri in simboli, questi rapporti emergono in modo particolare grazie ai pittogrammi, che comunicano in maniera diretta il significato delle parole in costante dialogo con il testo alfabetico; fra parole a forma di iceberg, sinonimi e polisemia, il viaggio nel lessico mediato dalle storie rende l’apprendimento un’esperienza piacevole e partecipata.
  6. L’approccio della grammatica valenziale nei libri in simboli – Secondo il modello valenziale, la frase è come un dramma in miniatura. Allo stesso modo, un buon numero di simboli della CAA mette in scena una rappresentazione del significato essenziale e ben formata. Grazie a questa proprietà, i libri in simboli possono costituire un primo strumento per riflettere con gli studenti in modo attivo e partecipato sulla struttura nucleare della frase, coniugando il piano della semantica e quello della sintassi.
  7. I simboli della CAA nell’apprendimento dell’italiano L2 – Utilizzare i simboli nella didattica della lingua L2 può essere di supporto per rinforzare l’accesso al significato delle parole. In una classe con alunni di madrelingua non italiana può rappresentare inoltre uno strumento di inclusione adatto a tutti. Si vedranno esempi di lavoro sul lessico a partire da I libri per tutti, esperienze pratiche in una classe di scuola primaria e alcune proposte di sviluppo per la didattica.
  8. Una biblioteca per l’inclusione – Le persone responsabili dei processi di cambiamento, a cui tutti oggi siamo provocati, manifestano attitudini in grado di creare intelligenza collettiva. Immaginando e progettando nuovi contesti inclusivi, le biblioteche si presentano come ambienti facilitanti la comunicazione e la relazione interpersonale, per essere riconosciuti come spazi privilegiati per la crescita di comunità narrative.
Copertina "Il nuovo turismo inclusivo"
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Corso di formazione Cityfriends: “Il nuovo turismo inclusivo: conosco, comunico, accolgo”

“Il nuovo turismo inclusivo: conosco, comunico, accolgo” è il nuovo corso di formazione proposto da Cityfriends: 21 ore di formazione online, dal 26 novembre al 5 dicembre 2020, per acquisire competenze nel campo del turismo accessibile e inclusivo.

Un corso pensato per persone con esperienza in ambito turistico come guide, accompagnatori e operatori turistici, adatto a tutte le persone che vogliono migliorare le proprie competenze in ambito sociale e relazionale.

Il corso si svolge ONLINE su piattaforma ZOOM con i docenti in diretta. A tutti i partecipanti al termine del corso verranno mandate le slide del corso e l’accesso alla registrazione delle lezioni in modo da poterle rivedere anche in differita.

Per le iscrizioni clicca qui.

PROGRAMMA

Giorno 1 – 26 novembre 2020

14:30/15:30 – Benvenuto di Alessandro Parisi, Andrea Panattoni e Luisa Pavesi soci fondatori della startup innovativa a vocazione sociale Cityfriend.

15:30/18:30 – Modulo sul TURISMO INCLUSIVO e ACCESSIBILE – “Introduzione alla disabilità; accogliere una persona con esigenze specifiche e i suoi familiari/accompagnatori”. Paola Barbieri

Giorno 2 – 27 novembre 2020

14:30/16:30 – Modulo disabilità MOTORIE – “Come valutare la fruibilità dei servizi e delle esperienze turistiche per le persone con disabilità motoria”. Giulia Lamarca

16:30/17:30 – Modulo FAMILY – “Come progettare esperienze inclusive e coinvolgenti per le famiglie con bambini e ragazzi”. Luisa Pavesi

Giorno 3 – 28 novembre 2020

14:30/17:30 – Modulo disabilità INTELLETTIVE – “Introduzione alle disabilità intellettive e relazionali. Esigenze e necessità delle persone con disabilità intellettive “. Angelo Cerracchio

Giorno 4 – 3 dicembre 2020

14:30/17:30 – Modulo disabilità RELAZIONALI – “Come relazionarsi con le persone autistiche e quali possono essere le loro esigenze durante un’esperienza turistica”. Arianna Porzi

Giorno 4 – 4 dicembre 2020

14:30/17:30 – Modulo disabilità SENSORIALI – “Introduzione alle disabilità sensoriali visive. Esperienze ed esigenze delle persone con difficoltà visiva in viaggio”. Franco Lepore

Giorno 5 – 5 dicembre 2020

09:30/12:30 – Modulo disabilità SENSORIALI – “L’arte in tutti i sensi. Come rendere il patrimonio culturale accessibile alle persone con disabilità sensoriali”. Brunella Manzardo

14:30/16:30 – Come Cityfriend risponde alle esigenze di inclusione in ambito turistico. Il ruolo del facilitatore del turismo accessibile e opportunità di collaborazione.

RELATORI

  • Paola Barbieri – Training manager Cityfriend, formatrice esperta in comunicazione e disabilità
  • Giulia Lamarca – Psicologa, Travel blogger
  • Brunella Manzardo – Ricercatrice, esperta in accessibilità dell’arte
  • Franco Lepore – Avvocato, Disability Manager della città di Torino, Presidente UICI Piemonte
  • Angelo Cerracchio – Medico neurologo, Presidente del CTS del Consorzio SSSR e membro del comitato scientifico ANFFAS Onlus
  • Arianna Porzi – Presidente ANGSA Piemonte
Locandina Film Copperman
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In ognuno di noi c’è un supereroe: Anffas consiglia il film Copperman

Copperman (l’uomo di rame), film del 2019 diretto da Eros Puglielli con Luca Argentero attore protagonista, racconta con sensibilità e delicatezza il tema della disabilità intellettiva, pur senza mai citarla direttamente. E’ un film che permette di trascorrere una serata in famiglia in modo allegro e intelligente: un buon consiglio, in questo periodo di lockdown in cui siamo tutti obbligati a rimanere a casa.

La recensione del sito mymovies.it (clicca qui)

Anselmo è un bambino molto particolare. Dotato di grandissima fantasia e sensibilità, affronta la quotidianità da solo con la madre in maniera tutta sua: ha sviluppato un’ossessione per i colori, per le forme circolari e soprattutto per i supereroi. Desidera tanto possedere anche lui dei superpoteri per poter salvare il mondo come il padre, che in realtà lo ha abbandonato subito dopo la sua nascita. Questo desiderio cresce dopo aver conosciuto Titti, una bambina molto stravagante, che però viene costretta ad allontanarsi presto da lui. Anselmo cresce ma non smette di guardare il mondo in maniera infantile tanto che, grazie all’aiuto di un caro amico di famiglia, si trasforma in Copperman, l’uomo di rame, che di notte aiuta a ripulire il proprio paese dalle ingiustizie. Le responsabilità di Copperman diventeranno più grandi quando finalmente Titti tornerà a casa.

Questo di Eros Puglielli sembra un cinema di altri tempi. Non solo per le atmosfere vintage date da una (curatissima) scenografia che riporta direttamente indietro ad altri anni, ma soprattutto per l’approccio genuino e fresco con cui si avvicina a certe tematiche. L’espediente supereroistico qui non ha infatti nulla di ultraterreno, ma diventa una semplice fantasia infantile per affrontare dei traumi, delle problematiche intrinseche nei personaggi. Senza pietismo ed al tempo stesso senza superficialità, si mettono in campo le classiche dicotomie tra buoni e cattivi filtrate dagli occhi di un bambino che non è mai cresciuto.

Vengono alla mente alcune opere di Jean-Pierre Jeunet in cui non ci si interfaccia solo con il racconto di un personaggio, ma il suo mondo diventa visivamente anche quello dello spettatore. Ed è quello che prova a fare Puglielli con il proprio film e quello che riescono a ricreare anche i bambini (non) cresciuti interpretati perfettamente da Luca Argentero e Antonia Truppo.

La linea sottile tra il gioco infantile e la complessità di certe dinamiche messe in campo è percorsa con molta cura, forse anche troppa, tanto che a volte si ha la sensazione che questa delicatezza abbia frenato un po’ l’elemento di intrattenimento e l’impatto emotivo del film sullo spettatore. La tenerezza e la semplicità con cui la figura del supereroe viene scissa dalla grande macchina industriale degli ultimi anni per ridimensionarla ad uno spazio umano, però, travalica anche qualche imperfezione nella struttura narrativa e stabilisce il vero pregio del film, ovvero quello di guardare oltre certi schemi e provare ad aprire il nostro cinema ad approcci inusuali. Uno sforzo coraggioso e lodevole, da sostenere.