Come discriminare le persone con disabilità ultrasessantacinquenni
«A partire dalla Convenzione ONU – dichiara Roberto Speziale, presidente dell’ANFFAS – fino alla Legge 112/16, al Piano di Indirizzo sulla Riabilitazione, ad alcuni provvedimenti amministrativi e agli stessi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria), da nessuna parte è stabilito che alle persone con disabilità di 65 anni vengano negate prestazioni, servizi e interventi sociosanitari assicurati fino al giorno prima. Va contrastata tale assurda prassi, posta in essere in alcuni territori al solo scopo di risparmiare risorse a discapito dei diritti delle persone con disabilità anziane»
Articolo tratto da Superando.it – Anffas Nazionale
Uomo anziano con disabilità in un giardinoSempre più spesso giungono alla nostra Associazione [ANFFAS Nazionale-Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, N.d.R.] segnalazioni con le quali si evidenzia che per il semplice fatto che le persone con disabilità hanno compiuto 65 anni di età, vengano loro negate prestazioni, servizi ed interventi socio-sanitari, assicurati fino al giorno prima. È come se essi perdessero la loro condizione di disabilità e fossero da considerare solo anziane, privandole appunto di servizi e sostegni, con tutto ciò che ne consegue. È evidente l’assurdità di tale comportamento, anche dal punto di vista scientifico, in quanto è del tutto sbagliato e privo di senso parametrare gli interventi – soprattutto per le persone con disabilità intellettive e del neurosviluppo – solo per via di automatismi anagrafici.
Questo spesso determina una materiale “deportazione” delle persone in strutture diverse da quelle in cui magari hanno vissuto, per anni, intessendo relazioni affettive e considerandole, a pieno titolo, come “casa loro”. Ma anche nel caso in cui non vengono dimesse dal servizio, i relativi costi non vengono più riconosciuti per intero, con la conseguenza di determinare crescenti difficoltà nel mantenere il livello qualitativo dei servizi.
Di fatto, gli Enti Pubblici, in questo modo, dimostrano di non avere per nulla chiaro ciò che realmente è necessario per la persona con disabilità divenuta anziana che, casomai, ha maggiore necessità di interventi e sostegni e non il contrario.
«Non mi risulta – sottolinea Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS – che esista alcuna norma statale o atto amministrativo di carattere generale che stabilisca automatiche dimissioni dai servizi o automatiche ricalibrature degli stessi per le persone con disabilità che raggiungono i 65 anni. Per questo, come ANFFAS, abbiamo più volte contrastato e continuiamo a contrastare, anche giudizialmente e amministrativamente, tale assurdo fenomeno. Basti ricordare le Ordinanze ottenute nel 2010 e nel 2011 innanzi al Tribunale Civile di Catania, con cui si è stabilito l’immediato ripristino delle prestazioni riabilitative erogate dal Centro di Riabilitazione ANFFAS in favore di due persone ultrasessantacinquenni che invece l’ASP [Azienda Sanitaria Provinciale, N.d.R.] aveva ritenuto di dimettere. Leggendo i due pronunciamenti, è chiaro che l’intervento deve continuare, perché finalizzato al mantenimento dei livelli di autonomia funzionale acquisiti proprio per effetto delle prestazioni riabilitative che, se interrotte, determinerebbero, invece, una regressione».
Nel caso di specie, tra l’altro, i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria) non hanno mai previsto alcunché sull’età, così come oggi non è previsto dagli attuali LEA indicati nel DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio) del 12 gennaio 2017. Anzi, in tema di riabilitazione occorre ricordare sia la necessità per qualsiasi intervento di un progetto riabilitativo individualizzato, secondo le Linee Guida sulla Riabilitazione del 1998, che considerino le specifiche esigenze della persona, sia che tale Progetto sia condiviso con la persona direttamente interessata e la sua famiglia, considerando anche i contesti, abilitativi, riabilitativi che fino a quel momento la persona stessa ha vissuto.
Infatti, nel Piano di Indirizzo sulla Riabilitazione del 10 febbraio 2011 si legge: «Elementi essenziali sono sempre rappresentati dalla piena informazione e dalla partecipazione consapevole ed attiva alle scelte ed agli interventi da parte della persona che ne è al centro, della famiglia, e del suo contesto di vita», non potendosi quindi determinare d’ufficio dimissioni o nuovi regimi di intervento.
Di tutto ciò, per esempio, era stata data conferma – su forte impulso della nostra stessa Associazione – anche in Campania, laddove la Nota Protocollo 2013/0195068 del Dirigente del Settore Interventi, a favore delle Fasce Socio-Sanitarie particolarmente Deboli dell’Assessorato Regionale alla Sanità, ha precisato che «vi sono una serie di elementi che concorrono alla definizione di un piano personalizzato di assistenza appropriato in relazione al bisogno rilevato e alle necessità assistenziali. Pertanto, il requisito anagrafico, come ogni ulteriore requisito, non può considerarsi un requisito prioritario per la definizione di un piano di assistenza appropriato [grassetti nostri nella citazione, N.d.R.]».
Puntualizza Roberto Speziale: «Tutto ciò non vale solo per i servizi sanitari e socio-sanitari, ma anche socio-assistenziali, soprattutto per quelli di tipo residenziale. Ricordo che secondo l’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Vita indipendente ed inclusione nella società), le persone con disabilità hanno la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non sono obbligate a vivere in una particolare sistemazione; pertanto, l’automatico trasferimento da una struttura per persone con disabilità ad una per anziani già violerebbe il diritto di scelta della persona. Tra l’altro, qualora dovesse anche verificarsi l’assoluta inidoneità della struttura/servizio, si sarebbe anche violata la prescrizione contenuta nel medesimo articolo, relativa alla necessaria idoneità dei sostegni erogati perché le persone con disabilità siano incluse nella società».
È opportuno, infine, citare anche la Legge 112/16, Legge del “Durante e Dopo di Noi” la quale precisa, senza alcun dubbio, che gli interventi devono essere attuati «a prescindere dall’età o dal raggiungimento di qualsiasi età».
Conclude Speziale: «A partire dalla Convenzione ONU, che è fonte di rango superiore alle Leggi Ordinarie dello Stato, fino all’analisi dei provvedimenti di sistema amministrativi, si riscontra la necessità di un approccio assolutamente diverso e di senso contrario, rispetto a quello che in alcuni territori viene illegittimamente posto in essere. Per questo intendiamo contrastare con ogni mezzo e in qualsiasi sede tale assurda prassi, che ha il solo fine di risparmiare risorse a discapito dei diritti delle persone con disabilità anziane. Continueremo, pertanto, a stare al fianco delle persone con disabilità e delle loro famiglie che si trovino a vivere tali storture e facciamo appello al Ministro per la Famiglia e le Disabilità affinché intervenga, in modo autorevole, per porre fine a tale discriminazione».