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Riavviare i servizi semiresidenziali diurni, per tutti!

Finalmente, i servizi semiresidenziali per le persone con disabilità del Piemonte (chiusi con il decreto Cura Italia del 16 marzo) possono riaprire: la Regione Piemonte, in data 20 giugno, ha approvato “Il piano territoriale regionale per la riattivazione delle strutture semiresidenziali e delle attività educative territoriali/domiciliari per persone con disabilità e minori con problematiche psico-socio-relazionali”, come previsto dall’ultimo decreto del Presidente del Consiglio.

Clicca qui per il comunicato stampa di Anffas Piemonte

I contenuti sono stati oggetto di confronto tra il Forum del Terzo Settore, in rappresentanza delle associazioni delle persone con disabilità e degli enti erogatori dei servizi, l’Assessorato alla Sanità, l’Assessorato alle Politiche Sociali e l’unità di Crisi. Confronto di cui ringraziamo la Regione, ma sottolineiamo con disappunto e preoccupazione che nel “Piano regionale” non troviamo chiaramente espressi molti aspetti che – in sede di dibattito – avevano trovato valutazioni comuni, che riteniamo fondamentali per proseguire positivamente.

PERIODO SPERIMENTALE

Innanzitutto, con la Regione Piemonte si era concordato, nel mese di maggio, di utilizzare i mesi estivi come “periodo sperimentale” per mettere in campo modelli di servizio flessibili e articolati, per quantificare correttamente l’impatto delle attività di contrasto al virus e capire quanti potrebbero essere i costi superiori e quali le difficoltà organizzative e gestionali.

La decisione di attivare un periodo sperimentale era un passaggio estremamente qualificante della discussione sul futuro dei servizi, che non ritroviamo purtroppo indicato nel Piano, facendone mancare un elemento fondamentale.

Sappiamo che non è questo l’orientamento della Regione, ma dobbiamo vigilare con attenzione affinché non passi un concetto molto pericoloso: se le famiglie sono state in grado di autogestirsi fino ad ora (e sono in grado di “sopportare” livelli di servizio inferiori a prima e comunque inadeguati ai loro bisogni), saranno in grado di autogestirsi anche per il futuro, fino a stabilizzare una situazione che permette un importante risparmio ai bilanci comunali e regionali, fortemente compromessi dalla gestione dell’emergenza Covid-19.

Dal nostro punto di vista, è chiaro che il sistema applicato in questa fase non può essere che provvisorio e deve finire il più presto possibile. Anzi, anche la fase sperimentale ha senso solo nella prospettiva di ripristinare al cento per cento i servizi garantiti prima della pandemia, a partire da settembre.

APERTURA IN SICUREZZA

Tutti noi abbiamo bisogno che il servizio riprenda immediatamente, ma è altrettanto importante che il servizio riprenda in piena sicurezza. È quindi necessario che vengano fatti i tamponi a tutti, utenti e operatori, come dice il Piano, che però non dà indicazioni sui tempi. Noi temiamo che, dovendo fare questa operazione per un numero molto alto di persone, senza un meccanismo chiaro e certo, i tempi si allungheranno in maniera inaccettabile: bisogna stabilire una tabella di marcia e una linea temporale oltre la quale non è possibile andare, anche perché – nel migliore dei casi – i CDD non apriranno prima della metà di luglio.

APERTURA GRADUALE E SCAGLIONATA

Le indicazioni per la prevenzione alla diffusione del contagio impongono regole stringenti su spazio pro-capite, composizione dei gruppi di persone, modalità di trasporto, sanificazione degli ambienti e misure di protezione individuale, con un aggravio dei costi sia per i materiali che per il personale.

Di conseguenza, sarà necessario riaprire in maniera scaglionata e graduale, probabilmente con frequenze part-time e con l’utilizzo di altri supporti per le famiglie. Bisognerà quindi scegliere quali priorità applicare e indicare chi, come e quando avrà riattivato il servizio. Non è pensabile sostituire il centro diurno con l’assistenza domiciliare, che pure va sostenuta in questa fase transitoria, perché non è la stessa cosa né per la persona con disabilità, né per le famiglie

Il “Piano” indica l’Ente erogatore del servizio come soggetto che riadatta il progetto individuale e lo invia all’ASL o all’Ente gestore dei Servizi socio-assistenziali (Consorzio, Comune); questo non è accettabile. Noi riteniamo che tale scelta debba essere operata congiuntamente da famiglia, Commissione UMVD ed Ente Erogatore del servizio, per fare sì che tutte le informazioni siano disponibili e che i bisogni e i diritti delle persone con disabilità siano garantiti e correttamente considerati.

MANTENERE LA SICUREZZA NEL TEMPO

Dopo l’apertura, è previsto un piano di monitoraggio costante, a cadenza programmata, per essere sicuri che non ci siano ritorni del contagio. Anche in questo caso, le indicazioni sono un po’ troppo generali e quindi temiamo che non sia così semplice da organizzare, nella pratica.

CONCLUSIONI

Riteniamo assolutamente necessaria una fase urgente di ridefinizione di bisogni e servizi, altrimenti la fase 2 sarà un altro disastro, come già è stata la fase 1. Lo diciamo senza giri di parole, perché è chiaro che non si tratterà di un ritorno alla “normalità” pre-coronavirus – che comunque era ben lontana dalla perfezione – e ancora per lunghi mesi dovremo convivere con una situazione di emergenza.

Ribadiamo che è impensabile che il peso di questa emergenza continui a ricadere così profondamente, talvolta interamente, sulle famiglie: quello che è successo negli ultimi mesi non può essere sostenibile a lungo termine. Non possiamo permettere che qualcuno pensi ad uno scambio di qualche euro alle famiglie a fronte della rinuncia ai servizi, tanto più ora che le famiglie potrebbero risentire grandemente della crisi che si prospetta.

Lo ripetiamo forte e chiaro: nessun taglio ai servizi è accettabile, le famiglie non possono essere lasciate sole.

Le crisi più profonde, come quella che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo, possono essere l’occasione per ripensare ai modelli e migliorarli: dobbiamo cogliere questa occasione per procedere alla riforma e all’aggiornamento dei servizi: basta standardizzazione, le associazioni di rappresentanza devono coprogettare con le istituzioni percorsi e servizi che puntino sull’aumento e alla stabilizzazione delle “abilità” di ciascuna persona. Senza dimenticare tematiche fondamentali come il “durante e dopo di noi” e la costruzione di “progetti di vita indipendente”, che devono essere potenziati su tutto il territorio, anche in osservanza del dettato della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità che, è sempre bene ricordarlo, è legge dello Stato italiano dal 2009.